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Il fisco riconosce le sex worker: escort e prostitute avranno un codice Ateco dedicato

- di: Giulia Caiola
 
Il fisco riconosce le sex worker: escort e prostitute avranno un codice Ateco dedicato
Una svolta storica per il riconoscimento fiscale delle sex worker in Italia. Con un aggiornamento dei codici Ateco, l’Agenzia delle Entrate ha introdotto la possibilità per escort e prostitute di dichiarare ufficialmente la propria attività professionale, come accade già in altri Paesi europei. Il nuovo codice consente di aprire una posizione fiscale, emettere fatture e versare regolarmente le imposte, configurando per la prima volta il lavoro sessuale come attività economicamente rilevante e tassabile, al pari di qualsiasi altra prestazione autonoma.

Il fisco riconosce le sex worker: escort e prostitute avranno un codice Ateco dedicato

Il codice, che rientra nella macro-categoria delle "altre prestazioni di servizi personali", rappresenta un cambiamento normativo e culturale di grande portata. Fino ad oggi, infatti, chi esercitava la professione di escort o prostituta lo faceva in un limbo giuridico: tollerato ma non regolamentato. L’adeguamento avvicina il sistema italiano a quello tedesco o olandese, dove le attività sessuali a pagamento sono regolate e tassate. Pur non trattandosi di una legalizzazione in senso stretto, si apre ora la possibilità di operare in trasparenza, anche per quanto riguarda la previdenza e i contributi.

Obiettivo emersione e lotta all’evasione: “Ora niente più ipocrisie”

Secondo fonti del ministero dell’Economia, la misura risponde alla necessità di far emergere un ampio settore sommerso che genera volumi significativi di reddito senza alcun controllo fiscale. In questo modo, chi sceglie di esercitare la professione in modo autonomo potrà regolarizzarsi, contribuire al sistema e godere di alcune tutele minime. “È un atto di realismo e trasparenza – spiegano i tecnici – che elimina l’ipocrisia intorno a un fenomeno che esiste da sempre ma resta ai margini del diritto”.

Resta il vuoto normativo: nessuna regolamentazione sul piano penale e sanitario

Nonostante il riconoscimento fiscale, il lavoro sessuale in Italia continua a non essere regolamentato da una legge organica. La legge Merlin del 1958, che abolì le case chiuse, vieta lo sfruttamento e l’organizzazione della prostituzione ma non punisce l’esercizio individuale. Questo crea un paradosso: le sex worker possono ora essere tassate, ma non hanno diritti specifici né tutele chiare in materia di sicurezza, salute o previdenza. Le associazioni che si battono per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso chiedono che questa apertura fiscale sia solo il primo passo verso una riforma complessiva.

Reazioni contrastanti: tra chi applaude e chi teme la normalizzazione del mercato del corpo

La novità ha già sollevato un acceso dibattito politico e sociale. Alcuni esponenti parlamentari hanno salutato la misura come “un riconoscimento della libertà individuale e della realtà economica”, mentre altri l’hanno criticata come un tentativo di normalizzare un’attività che dovrebbe essere scoraggiata. Anche all’interno del mondo femminista le opinioni divergono: c’è chi rivendica il diritto di autodeterminazione e chi denuncia il rischio di mercificazione strutturale del corpo femminile. Intanto, il fisco si adegua e prende atto di un pezzo di realtà finora lasciato ai margini.
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