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La famiglia nel bosco e la verità dei giudici

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La famiglia nel bosco e la verità dei giudici

È diventata, in pochi giorni, la storia-simbolo del nostro tempo: la famiglia che vive “nel bosco”, i bambini allontanati dal Tribunale, l’Italia spaccata fra chi parla di abuso giudiziario e chi invoca la tutela dei minori. Una vicenda che ha acceso la miccia dello sdegno, delle semplificazioni, delle accuse, come se, ancora una volta, la realtà dovesse piegarsi alle interpretazioni.

La famiglia nel bosco e la verità dei giudici

Ma l’ordinanza – letta senza pregiudizi – racconta altro. E racconta anche la distanza fra il nostro Paese e quelle capitali europee dove crescere e educare i bambini nella natura è una pratica organizzata, regolata, non il frutto di un isolamento più o meno romantico.

Dentro la decisione: non una condanna del bosco, ma del vuoto attorno ai minori
Il Tribunale non ha scritto, nemmeno in filigrana, che vivere tra gli alberi sia un delitto pedagogico. Nessun giudice ha parlato di punire uno stile di vita.
Il punto – e qui finisce la narrativa semplificata – riguarda la mancanza di continuità scolastica, l’assenza di controlli sanitari, il rischio concreto che quei bambini crescessero senza un percorso educativo documentabile. La natura non era un problema.
Il problema era l’isolamento.

In altre parole: il bosco non è stato giudicato, ma se quel bosco diventa un recinto che impedisce ai figli di accedere ai diritti minimi – scuola, salute, socialità – allora il Tribunale interviene. Non per scelta ideologica, ma per dovere.

Quando la libertà diventa solitudine: il nodo che l’Italia non ha mai sciolto
La vicenda mostra un nervo scoperto del Paese: la libertà educativa, che dovrebbe essere un diritto, in Italia diventa un terreno scivoloso. Manca una cornice, mancano regole chiare per chi sceglie percorsi non tradizionali.
E allora ciò che altrove è modello, da noi diventa sospetto.

Le famiglie che cercano alternative restano sole: non c’è riconoscimento, non c’è rete pubblica, non c’è integrazione con la scuola. E la solitudine degli adulti diventa, inevitabilmente, fragilità per i bambini.

L’Europa del bosco: dove la natura è una scuola, non un rifugio
Qui emerge il confronto più istruttivo. Perché se c’è un continente che ha trasformato la natura in luogo educativo, quello è l’Europa. Non in maniera spontanea, non per vocazione folkloristica, ma con strutture, programmi e verifiche. Ecco perché il paragone con la famiglia italiana rischia di essere fuorviante.

Parigi: la forest school urbana che unisce aula e natura
Nella capitale francese esiste una forest school riconosciuta dallo Stato: classi che trascorrono ore nei parchi a imparare matematica, scienze, lettura attraverso la vita all’aperto. È scuola pubblica a tutti gli effetti, con insegnanti formati e standard verificati.
Il bosco è a portata di metropolitana, ma è comunque sistema, non improvvisazione.

Barcellona: educarsi tra gli alberi con un progetto verificato
La Catalogna ha adottato, in molte scuole paritarie e internazionali, programmi che integrano natura e apprendimento. Attività settimanali nei boschi, educatori qualificati, protocolli sanitari.
La natura è un’aula. Non un altrove.

La Scandinavia: dove il bosco è Stato
Danimarca, Norvegia e Svezia hanno fatto dell’“udeskole” un metodo nazionale. Metà scuola in natura, metà in aula. La libertà non è abbandono, ma organizzazione.
Il risultato? Bambini più autonomi, più cooperativi, più sicuri. E soprattutto: nessuno finisce davanti al Tribunale perché ha studiato in mezzo agli alberi.

Il caso italiano davanti allo specchio europeo
Ed eccoci al punto. La famiglia nel bosco italiana somiglia ai modelli europei? No. Perché in Francia, Spagna e Nord Europa la natura è un pezzo della scuola, non una fuga dalla scuola. Il sistema accoglie, integra, regola.
In Italia, invece, si naviga a vista. Chi sceglie vie alternative lo fa in solitudine, senza riconoscimento pubblico, senza procedure chiare.
E quando manca la cornice, a farne le spese sono i minori. Il bosco non salva, se manca tutto il resto.

L’unica vera domanda: cosa vogliamo per i nostri bambini?
La vicenda dice molto più della storia di una famiglia. Dice di un Paese che ha paura della natura, ma non sa regolamentare l’innovazione. Dice che la libertà educativa non è una priorità politica. Dice che i giudici – piaccia o no – intervengono dove lo Stato non ha mai messo mano.

La scelta non è tra bosco e città, tra tradizione e modernità. È tra un modello pubblico che accompagni le famiglie e un vuoto che le lascia sole, fino a trasformare un sogno in un caso giudiziario.

In Europa il bosco è scuola. In Italia, troppo spesso, è solo un titolo di cronaca. E finché resterà così, la natura continuerà a essere un luogo poetico per gli adulti e incerto per i bambini.

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