L'Europa torna a riunirsi sotto il tetto di Bruxelles, ma la spinta all'unità scricchiola sempre di più. Al Consiglio Europeo di oggi, i ventisette leader dell’Unione hanno ribadito il loro “incrollabile sostegno all’Ucraina”, ma l’Ungheria di Viktor Orban si è di nuovo messa di traverso, facendo saltare l’unanimità sulla dichiarazione finale. La decisione, adottata a 26, riaccende il dibattito sulla necessità di riformare il meccanismo di voto e rimuovere il diritto di veto che permette a un solo Stato di bloccare le decisioni dell’UE.
Europa in frantumi sul sostegno a Kiev: l'Ungheria si sfila, cresce il pressing per togliere il veto
Non è la prima volta che Budapest si oppone al fronte europeo su Kiev. Lo aveva già fatto nelle scorse riunioni e ora, ancora una volta, il premier ungherese ha scelto la linea dura, isolandosi dal resto dell’Unione. Il leader del PPE, Manfred Weber, ha lanciato un segnale chiaro: “Non possiamo permettere che un solo Paese blocchi l’Europa”. E mentre in aula si discute, cresce la pressione per attivare l’articolo 7, la procedura che priverebbe l’Ungheria del diritto di voto per violazione dello Stato di diritto.
A complicare le cose, arriva anche la decisione ungherese di vietare il Pride 2025, ennesima mossa che conferma l’insofferenza di Budapest nei confronti delle regole comunitarie. Un dettaglio non secondario, perché il braccio di ferro tra Bruxelles e Orban non è solo sulla guerra, ma su una visione più ampia dei valori europei.
Il pressing di Zelensky: “Servono fondi subito”
Da remoto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha partecipato ai lavori, lanciando un appello accorato: “Mosca continua ad attaccare le nostre infrastrutture energetiche. Abbiamo bisogno di più difesa aerea, più aiuti militari e almeno cinque miliardi di euro subito”. Il messaggio è chiaro: senza un intervento forte dell’Europa, il rischio è che Kiev resti scoperta nel momento più critico del conflitto.
Tra le richieste di Zelensky, c’è anche la necessità di far partire il piano ReArm Europe, per rafforzare la produzione di armamenti in Ucraina e nei Paesi europei. L’idea è che Kiev diventi non solo destinataria di aiuti, ma anche un polo industriale strategico per la difesa del continente.
Meloni tra debito e riarmo: l'Italia chiede garanzie
Tra i leader più attivi nella giornata di oggi c’è Giorgia Meloni, che ha incontrato Ursula von der Leyen prima del vertice. La Premier italiana ha insistito sulla necessità che gli strumenti europei per la difesa non pesino sul debito degli Stati membri. Una posizione in linea con quella dei Paesi Bassi, contrari a ogni ipotesi di eurobond per finanziare il riarmo.
Anche Antonio Tajani ha detto la sua, rilanciando un’idea cara a Silvio Berlusconi: “Serve un esercito europeo, dobbiamo superare il diritto di veto”. Un’idea che però divide la maggioranza italiana, con Matteo Salvini che ha già espresso il suo scetticismo.
L’Europa tra unità e veti: quale futuro?
La giornata di oggi conferma che l’Unione Europea si trova davanti a un bivio. Da una parte c’è la volontà di rafforzare la difesa comune e sostenere Kiev, dall’altra il rischio che i veti nazionali rendano ogni passo sempre più complicato.
Le pressioni per una riforma del meccanismo decisionale cresceranno nei prossimi mesi, ma la domanda resta: l’Europa sarà capace di scegliere una strada chiara o resterà ostaggio delle sue divisioni interne?