Elezioni 2022 - Pd: avviso di sfratto per Letta

- di: Diego Minuti
 
Appena sotto il 20 per cento: in termini assoluti sarebbe anche un buon risultato elettorale. Ma per Enrico Letta questi numeri sembrano destinati ad essere una tagliola verso la sua ipotetica conferma alla segreteria del Partito democratico.
Un responso appena sufficiente ad evitare di essere bollato come un fallimento. Che però fallimento è stato per il modo schizofrenico con cui sono state condotte le trattative per la formazione di una coalizione che potesse impensierire la corazzata del centrodestra a trazione Fratelli d'Italia.
Oggi, tirando le somme di quel che è successo dalle dimissioni di Mario Draghi in poi, il Pd si accorge che forse non ha fatto veramente tutto il possibile per cercare di vincere, anche se di difficoltà ce n'erano veramente troppe.
Il perché è sotto gli occhi di tutti.

Enrico Letta fa i conti col deludente risultato delle elezioni 2022

A cominciare dall'impossibilità di dialogare con i Cinque Stelle (anche poche ore fa Giuseppe Conte ha continuato ad attaccare il Pd con una virulenza che non ha mai riservato al centrodestra), avvitati su posizioni presentate come di sinistra, ma nei fatti alimentate da un populismo sin troppo evidente. Davanti ad un partito che ha eletto solo il reddito di cittadinanza a programma di governo - cosa che ha comunque pagato in termini elettorali, soprattutto al Sud -, i democratici hanno cercato altrove alleanze, ma scontrandosi con veti e inimicizie personali, con profili quasi infantili, dimostratisi insuperabili.
Cadendo poi vittima del pencolare da una parte all'altra di Calenda, il Pd ha stretto un'alleanza solo elettorale con il connubio tra Verdi e Sinistra Italiana, che si è dimostrato poco funzionale al disegno di fermare Meloni e compagni. Anzi, alcune posizioni radicaleggianti di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli hanno forse spaventato parte dell'elettorato potenziale, che non si è molto riconosciuto soprattutto nelle misure finanziarie proposte, senza ''se'' e ''ma''.

Ora però, dopo che saranno finiti le analisi, le lamentazioni, gli autodafé, il cospargersi il capo di cenere, deve arrivare il momento dell'assunzione di colpa e tutto lascia pensare che, nel rispetto dei tempi congressuali, a pagarne le conseguenze sarà proprio Enrico Letta.
Il quale un minimo di autocritica la dovrà pur fare, anche perché, visto lo strettissimo margine di manovra che aveva, pur di raggiungere i suoi obiettivi ha preferito imboccare una strettoia pericolosa, ottenendo alla fine il solo risultato di trovarsi a competere non solo con gli avversari ''normali'' (quelli del centrodestra), ma soprattutto con quelli che potenzialmente potevano essere alleati e che, alla fine, hanno scelto il Pd come bersaglio principale. Quindi, sotto attacco da destra, dal centro e da una sinistra di facciata, il Pd ha perso la partita, anche tutto sommato se con onore.

La liturgia della politica impone che la testa di Letta resti salva fino a quando non sarà convocato il congresso, che sarà l'occasione - per dirla crudamente- di regolamenti di conti che erano in decantazione da tempo e che potrebbero portare ad un totale restyling del partito. Perché, come accade quasi sempre, la sconfitta la pagano, oltre al diretto responsabile, anche quelli che non si riposizionano, ovvero restano fedeli al segretario. Ma ancora le carte rimangono coperte e chi sarà effettivamente il migliore candidato a succedere a Letta resta opportunamente nell'ombra. Anche se tutto lascia pensare che una soluzione vada dritta per la via Emilia, avendo come destinazione finale Bologna.
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