Fratelli d'Italia sbanca e incorona Giorgia Meloni

- di: Diego Minuti
 
Previsioni rispettate, anche se bisognerà aspettare ancora qualche ora per sapere se le proiezioni coincidono con gli exit poll e, quindi, se gli italiani hanno scelto, inequivocabilmente, Giorgia Meloni per guidare il prossimo governo. Si chiude oggi, quindi, con la vittoria annunciata di Fratelli d'Italia - e quindi con quella personale della sua leader - una campagna elettorale che ha vissuto pochi momenti politicamente positivi o, addirittura, da ricordare, brillando invece per una aridità di contenuti che speriamo non si riproponga più in futuro.
Le prime indicazioni sull'esito del voto danno nettamente in testa Fratelli d'Italia, con una percentuale media di consensi intorno al 25 per cento che strizza l'occhio anche a quote più alte. Un dato inequivocabile, pur con la possibilità di correzioni. Inequivocabile sia per ampiezza della vittoria, sia perché ha dimostrato un dato di tutta evidenza: Fratelli d'Italia è il primo - e per distacco - partito del centrodestra e, quindi, Lega e Forza Italia non possono continuare ad accampare soverchie ambizioni, come se il voto fosse un corollario alla campagna politica.

Elezioni 2022, previsioni rispettate: trionfo per Meloni e Fratelli d'Italia

Perché, parliamo della Lega, il suo leader puoi anche dire di sentirsi autorizzato ad ambire a Palazzo Chigi, ma con una distanza abissale di voti nei confronti del primo partito della coalizione, ogni richiesta deve passare dalla inesorabile cruna dell'ago dei numeri. E anche perché, e parliamo di Forza Italia, deve prendere atto che ormai gli italiani hanno espresso un giudizio che non è interpretabile su un partito che necessita di un profondo rinnovamento e che invece, offrendo la stessa immagine di 28 anni fa, sperava di ammaliare gli elettori come un tempo lontano.
In ogni caso, le elezioni 2022 sono state un momento di passaggio importante perché hanno sancito che la spaccatura reale tra modi diversi di intendere la politica si è tradotta in un voto che potrebbe segnare il futuro del Paese. Fino a quando non lo sappiamo, ma di certo il voto di oggi manda in soffitta il sogno di potere guidare l'Italia a dispetto della volontà dei suoi cittadini.
Non crediamo di dire cosa diversa dal vero se affermiamo che la campagna elettorale ha dato l'immagine peggiore della classe politica, che non ha mai saputo essere realmente vicina alla gente, cullandosi nell'illusione dell'autoreferenzialità, illudendosi che le parole potessero fruire libere, anzi incontrollate, senza essere suffragante da programmi degni di tale nome.

Alla fine Giorgia Meloni, che si è limitata a non commettere errori per non vanificare la rendita di una posizione acquisita da mesi, ha vinto, a dispetto anche degli inciampi di qualche candidato che si è proposto al giudizio dell'elettorato pensando o sperando che frasi e concetti del passato - pericolosamente vicini a quell'ideologia fascista dalla quale il presidente di Fratelli d'Italia ha ripetutamente preso le distanze - fossero loro perdonati.
Evidentemente questi incidenti di percorso non hanno intaccato la fiducia che un quarto degli italiani le ha riservato e quindi da domani Giorgia Meloni può vedere ''autorizzata'' l'ambizione di succedere a Mario Draghi.
Ma il difficile per lei comincia nel momento del trionfo perché ora dovrà gestire una leadership che le hanno dato i numeri, ma che ancora non è stata legittimata veramente anche dagli alleati. Che quasi sembrano non rendersi conto che, in politica, alla fine sono i numeri che valgono, pensando evidentemente di potere andare a trattare con lei sulla base di aspirazioni e speranze e non invece dall'evidenza. Sino a poche ore fa Matteo Salvini, facendo sfoggio di grande fiducia, parlava come se il primo posto nei consensi fosse realmente un ballottaggio tra la Lega e Fratelli d'Italia, come se potesse condizionare a suo piacimento la formazione del prossimo governo. Al punto di dire d'averlo in testa, quasi fosse nelle sue mani la golden share dell'esecutivo di centrodestra.

Non meno speranzoso Silvio Berlusconi, che fino a oggi rivendica il ruolo di ''regista'' del prossimo governo, quasi che il baratro di voti tra Forza Italia e FdI sia un fatto formale. Tacendo della circostanza che molte delle ultime esternazioni di Berlusconi (dalla singolare cronaca di cosa ha determinato l'aggressione russa all'Ucraina a bollare Salvini come una brava persona, che in vita sua però non ha mai lavorato - cosa forse anche vera -) lo hanno relegato piuttosto che al rango di padre nobile del centrodestra a quello del ''nonno'' un po' svagato al quale tutto si perdona, ma sdi cui tutto quel che dice ci si ricorda.
La coalizione di centrodestra quindi ha vinto, anche con un consistente vantaggio, ma non ha stravinto, perché questo contrasta con le divisioni che ci sono state e permangono. Spetterà ora a Giorgia Meloni e ai suoi consiglieri più fidati dipanare il nodo dei rapporti con gli alleati azionisti di minoranza della coalizione per fare capire loro che la sola strada è quella della coesione, sul cui altare sacrificare molte ambizioni, spesso personali.

E' chiaro che tutto potrebbe fare Giorgia Meloni meno che caratterizzare il suo governo come a trazione condivisa, anche perché in passato Salvini ha dimostrato di essere insofferenze alle etichette appiccicategli addosso dagli altri. Ma se è normale nutrire ambizioni, lo è molto meno se solo si guarda per un istante alle enormi sfide che attendono i prossimo governo, in cui dietro la Regina-Giorgia ci devono essere collaboratori e scudieri non certo ''capitani'' che intendono lavorare per sé stessi.

Queste elezioni hanno anche regalato ai commenti un'altra cosa: le forze che dovevano opporsi alla vittoria annunciata di Giorgia Meloni oggi devono chiedersi se le loro scelte sono state le migliori. Perché, sommando i voti loro attribuiti dalle prime proiezioni, Partito democratico, Azione, Cinque stelle, Verdi+Sinistra. Impegno Civico e +Europa avrebbero potuto contrastare, anche con i numeri, il centrodestra. Così non è stato e questo deve aprire un dibattito, soprattutto in casa Pd che, sebbene con un buon risultato, deve interrogarsi se il gioco delle alleanze sia stato portato avanti con accortezza o abbia subito troppi veti e da questo sia stato condizionato oltre misura.
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