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Ponte sullo Stretto, il conto nascosto: chi pagherà davvero

- di: Bruno Coletta
 
Ponte sullo Stretto, il conto nascosto: chi pagherà davvero
Ponte sullo Stretto, il conto nascosto: chi pagherà davvero
Nel loro articolo su lavoce.info, gli economisti Marino e Rizzo smontano le stime ufficiali e chiedono trasparenza sui costi di manutenzione e gestione del ponte: “Il rischio è che il peso cada sui contribuenti, non sui pedaggi”.

(Foto: il rendering del ponte sullo stretto di Messina).

 Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina è da decenni il simbolo delle grandi opere italiane sospese tra ambizione e propaganda. Ogni governo lo rispolvera come promessa di rinascita per il Mezzogiorno, ma — affermano gli economisti Domenico Marino e Leonzio Rizzo, il primo  Professore all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, il secondo esperto di economia, già docente all’Università Cattolica di Milano e all'Università di Novara e Ferrara — la domanda vera oggi è un’altra: chi pagherà i costi reali del ponte quando i riflettori politici si spegneranno? I due economisti avvertono che, se non si farà chiarezza su spese di costruzione, gestione e manutenzione, “il rischio concreto è che il conto venga scaricato sui contribuenti, con effetti devastanti per gli investimenti pubblici più urgenti”.

Un progetto che divide da un secolo

Da quasi cent’anni il ponte sullo Stretto rappresenta un sogno ricorrente. Ogni legislatura riapre il dossier, puntualmente diviso tra chi lo considera un simbolo di modernità e chi lo vede come un gigantesco spreco di risorse. Gli entusiasti parlano di riduzione dei tempi di viaggio, rilancio economico per la Sicilia e riduzione dell’inquinamento. Ma — evidenziano Marino e Rizzo — queste stime restano spesso “sulla carta”, mentre nessuno spiega con rigore quanto costerà mantenerlo in efficienza per decenni.

In teoria, la gestione dovrebbe spettare alla società Stretto di Messina, a capitale interamente pubblico. Ma ciò significa che, qualora i ricavi da pedaggi non bastassero, la differenza ricadrebbe sulle spalle dello Stato, e dunque dei cittadini. È una variabile spesso rimossa dal dibattito politico, osservano gli autori, eppure decisiva per comprendere la sostenibilità complessiva del progetto.

Tariffe incerte e conti che non tornano

Le ipotesi sui pedaggi sono un terreno di pura confusione. Il ministro delle Infrastrutture ha parlato di 10 euro per le auto, mentre altri documenti ufficiali oscillano tra 4 e 7 euro. Il Centro studi Unimpresa arriva a ipotizzare 10 euro per le auto e 20 per i camion. Un divario enorme. Marino e Rizzo scelgono la stima più cauta, ma i risultati restano allarmanti: con 2 milioni di auto e 1 milione di camion l’anno, i ricavi non supererebbero i 40 milioni di euro.

I costi, invece, sono un’altra storia. La manutenzione ordinaria e straordinaria raggiungerebbe i 113 milioni l’anno, di cui 70 milioni per la gestione e 43 per interventi a lungo termine. Tradotto: la tariffa coprirebbe appena il 35% delle spese. “Per non gravare sui conti pubblici, le tariffe dovrebbero salire a 28 euro per le auto e 56 per i camion”, calcolano Marino e Rizzo. Un prezzo pressoché identico al traghetto attuale, dunque nessun reale risparmio per gli utenti.

In sostanza, evidenziano gli autori, l’equilibrio economico dell’opera non regge se non con un massiccio intervento della fiscalità generale. E questo smentisce la narrativa secondo cui il ponte sarebbe “autosufficiente”.

Le stime di traffico sono un azzardo

Per gli economisti, le proiezioni sui flussi di traffico rappresentano l’anello debole dell’intero piano. Nel 1991 gli attraversamenti ammontavano a 3,8 milioni, nel 1999 a 3 milioni e nel 2022 a 2,6 milioni. Una tendenza costante al ribasso, legata anche all’aumento dei collegamenti aerei tra Sicilia e continente. Eppure il piano prevede, nel 2032, oltre 4,5 milioni di veicoli e nel 2062 addirittura 10,5 milioni. “Una crescita del 300 per cento rispetto ai dati attuali appare poco credibile senza una rivoluzione nei trasporti”, affermano Marino e Rizzo.

Le previsioni, spiegano, sembrano gonfiate per far tornare i conti: solo ipotizzando un boom di attraversamenti si riesce a garantire il pareggio tra ricavi e costi. Se invece i flussi restassero vicini ai livelli attuali, servirebbero almeno 50 milioni di euro annui di trasferimenti pubblici per coprire la differenza. “Una cifra che verrebbe sottratta ad altre priorità”, avvertono gli autori.

Il paragone con il Golden Gate: un test di realtà

Per mettere alla prova le stime ufficiali, Marino e Rizzo propongono un confronto con il celebre Golden Gate Bridge di San Francisco. Nonostante la sua lunghezza sia tre volte inferiore, il ponte americano comporta costi di manutenzione pari a circa 200 milioni l’anno. Rapportando la spesa alla scala dell’opera italiana, i costi del ponte sullo Stretto potrebbero arrivare a mezzo miliardo di euro annui. Nessuna delle tariffe ipotizzate sarebbe sufficiente a coprirli. “Servirebbero flussi di traffico biblici per raggiungere il pareggio”, scrivono gli economisti con ironia amara.

Il paragone con il Golden Gate non è casuale: negli Stati Uniti, spiegano gli autori, ogni grande opera è accompagnata da un piano di sostenibilità trasparente e verificabile. In Italia, invece, si tende a presentare previsioni ottimistiche, senza una verifica indipendente delle ipotesi di traffico e dei costi di manutenzione a lungo termine.

Il nodo della fiscalità generale

Oltre al rischio finanziario, Marino e Rizzo sollevano un tema di equità. Se la gestione del ponte dovesse poggiare su risorse pubbliche, i cittadini di tutta Italia finirebbero per contribuire a un’infrastruttura utilizzata da una quota ristretta della popolazione. “Si tratterebbe di un classico caso di socializzazione delle perdite dopo aver privatizzato i benefici politici”, commentano i due economisti. Una distorsione che, sottolineano, si è già vista in altre grandi opere italiane, dal Mose alle autostrade.

Il rischio, aggiungono, è quello di sottrarre risorse a interventi più strategici per colmare il divario Nord-Sud: sanità, ferrovie interne, porti, digitalizzazione. “Un euro speso male oggi — spiegano Marino e Rizzo — è un euro sottratto alla crescita del Sud domani”.

Trasparenza e responsabilità politica

Per gli autori, la questione non è più tecnica ma politica. Il ponte può essere costruito, ma solo se accompagnato da una totale trasparenza. Il piano economico-finanziario deve essere pubblico, verificabile e realistico. “Serve chiarezza, non propaganda: i cittadini hanno diritto di sapere quanto costerà mantenerlo e chi ne sosterrà il peso”, insistono Marino e Rizzo.

La loro analisi, serrata e documentata, è un invito a guardare oltre l’annuncio politico e a valutare con freddezza il bilancio complessivo dell’opera. Senza un monitoraggio rigoroso, il ponte rischia di diventare l’ennesimo debito infrastrutturale a carico dello Stato, come troppe volte è accaduto nel passato recente.

La vera domanda: chi paga davvero

Alla fine, concludono Marino e Rizzo, il tema non è se il ponte sia bello o utile, ma se sia sostenibile. Ogni infrastruttura, ricordano, è un impegno per generazioni. “Costruirlo può essere una scelta legittima — scrivono — ma bisogna essere onesti nel dire che non sarà gratis. Se i pedaggi non copriranno i costi, qualcuno dovrà pagarli. E quel qualcuno saranno i contribuenti”.

Dietro la retorica delle grandi opere, rimane dunque una domanda semplice ma fondamentale: quanto costerà mantenerlo in vita? È la domanda che, secondo Marino e Rizzo, nessuno ha ancora avuto il coraggio di affrontare con onestà. Eppure è da lì, più che dalle promesse, che passa la credibilità economica del Paese. 

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