L’economia italiana rallenta nel secondo semestre del 2024, con una crescita stagnante e un aumento della disoccupazione. L’incertezza sui dazi americani e la debolezza dell’industria preoccupano gli esperti.
Crescita azzerata: il Pil chiude il 2024 con un debole +0,5%
L’economia italiana ha subito una battuta d’arresto nella seconda parte del 2024, con il Prodotto Interno Lordo (Pil) che ha registrato una crescita nulla sia nel terzo che nel quarto trimestre dell’anno. Secondo l’Istat, il Pil corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato ha chiuso il 2024 con un modesto +0,5%, un dato ben al di sotto delle previsioni governative dell’1% e inferiore alla crescita dell’1,1% registrata dalla Francia.
A pesare sulle performance economiche sono stati diversi fattori: il rallentamento della domanda interna, la stagnazione dell’industria manifatturiera e le incertezze legate al commercio internazionale. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che avrebbe dovuto stimolare una ripresa più solida, non sembra aver prodotto i risultati sperati, almeno nel breve termine.
Un’Italia sempre più legata al destino della Germania
Il rallentamento dell’economia italiana riflette un trend più ampio in Europa, dove anche la Germania ha registrato un nuovo anno di contrazione economica. Il Pil tedesco si è ridotto dello 0,2% nel quarto trimestre, segnando il secondo anno consecutivo di recessione tecnica. La forte interconnessione tra l’industria manifatturiera italiana e quella tedesca ha contribuito a trascinare
l’Italia in questa fase di stagnazione.
Al contrario, le economie del Sud Europa hanno mostrato una resilienza maggiore: la Spagna ha chiuso il 2024 con una crescita del 3,2%, grazie soprattutto alla forza del settore turistico e dei servizi, mentre il Portogallo ha segnato un aumento dell’1,9%.
Il mercato del lavoro torna a preoccupare
Un altro segnale negativo arriva dal mercato del lavoro. Dopo anni di miglioramento, il tasso di disoccupazione in Italia è tornato a salire, aumentando di 0,3 punti percentuali e attestandosi al 6,2% nel quarto trimestre del 2024. L’incremento, seppur moderato, è preoccupante perché avviene in un contesto di crescita già debole e potrebbe indicare una difficoltà strutturale nel creare nuova occupazione.
I settori più colpiti dalla stagnazione occupazionale sono l’industria e il commercio al dettaglio, mentre il settore dei servizi ha mostrato una lieve ripresa negli ultimi mesi dell’anno. Tuttavia, gli esperti avvertono che senza interventi mirati per stimolare la domanda e favorire l’occupazione giovanile, il rischio di un’ulteriore crescita della disoccupazione nel 2025 è concreto.
Settori economici a due velocità: industria in crisi, servizi in ripresa
L’industria manifatturiera continua a essere il punto debole dell’economia italiana. Gli indicatori PMI (Purchasing Managers’ Index), che misurano l’attività economica nel settore, sono rimasti in territorio negativo per quasi due anni consecutivi, segnalando una crisi persistente. L’unico segnale positivo arriva dal fatturato industriale, che a novembre ha registrato un incremento dello 0,6% rispetto al mese precedente. Tuttavia, l’assenza di una crescita stabile rende difficile parlare di una vera ripresa.
Il settore dei servizi, invece, ha mostrato una certa resilienza. Nonostante una battuta d’arresto nel quarto trimestre (-0,6%), l’indice PMI dei servizi di dicembre ha indicato una leggera crescita, segnalando una possibile inversione di tendenza per il 2025.
L’incognita dei dazi americani e il rischio geopolitico
Uno dei fattori di maggiore incertezza per l’economia italiana è la politica commerciale degli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha annunciato la possibilità di introdurre nuovi dazi su diversi prodotti chiave, tra cui chip elettronici, prodotti farmaceutici e acciaio. Inoltre, ha proposto un aumento generalizzato del 2,5% sulle importazioni, una mossa che potrebbe colpire duramente il settore manifatturiero italiano, già in difficoltà.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dichiarato: “L’Italia deve prepararsi a una possibile nuova fase di protezionismo globale. È fondamentale diversificare i mercati di sbocco e rafforzare le relazioni con i partner europei”.
Le reazioni politiche: scontro tra governo e opposizione
Di fronte ai dati economici deludenti, l’opposizione non ha perso tempo nel criticare l’operato del governo. Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in commissione Bilancio, ha affermato: “Siamo in stagnazione, il governo deve assumersi la responsabilità di un’economia ferma”. Anche il Movimento 5 Stelle ha attaccato duramente le scelte economiche dell’esecutivo: il vicepresidente del partito, Mario Turco, ha parlato di “disastro” causato da “politiche economiche fallimentari”.
Dalla maggioranza, invece, si cerca di smorzare i toni. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sottolineato che la stagnazione non implica una recessione e che il governo sta lavorando per rafforzare la crescita nel 2025: “I fondamentali dell’economia italiana restano solidi. Dobbiamo avere fiducia nei prossimi mesi”.
Le prospettive per il 2025: segnali di speranza o rischio recessione?
L’Istat prevede che il Pil italiano possa crescere dello 0,8% nel 2025, con una leggera ripresa guidata dalla domanda interna e dal calo dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale Europea. Tuttavia, le incertezze legate al commercio internazionale, alla politica monetaria e alle tensioni geopolitiche rimangono fattori di rischio.
Confcommercio avverte che, senza nuovi stimoli economici, sarà difficile raggiungere una crescita dell’1% nell’anno in corso. “Senza un’accelerazione degli investimenti e delle riforme, rischiamo un altro anno di stagnazione” ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio.
In sintesi, il 2025 si preannuncia un anno decisivo per l’economia italiana. Se il governo riuscirà a implementare riforme efficaci e a sfruttare al meglio le risorse del Pnrr, la crescita potrebbe riprendere. Ma se le incertezze internazionali e la debolezza dell’industria persisteranno, il rischio di una nuova fase di difficoltà economica è concreto.