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Da oggi via all’Ops su Mediobanca, parte la sfida per il controllo

- di: Marta Giannoni
 
Da oggi via all’Ops su Mediobanca, parte la sfida per il controllo

Inizia concretamente l’offerta pubblica di scambio di Mps su piazzetta Cuccia. Obiettivo 66%, ma lo sconto resta. Il patto si sfalda, Delfin e Caltagirone osservano.

(Foto: fotomontaggio con Nagel - a sinistra - e Lovaglio che si affrontano).

Inizia l’Ops di Mps su Mediobanca: un’offerta che può riscrivere gli equilibri del potere finanziario italiano

Dal 15 luglio parte ufficialmente l’offerta pubblica di scambio con cui Monte dei Paschi di Siena tenta l’assalto a Mediobanca. Non è un passo qualsiasi: l’Ops promette di cambiare volto al cuore della finanza italiana, ridefinendo pesi, alleanze e strategie del sistema bancario. L’offerta prevede uno scambio di 2,533 azioni Mps per ogni azione Mediobanca, una ratio che resta al di sotto dei prezzi di mercato e che suscita più di una perplessità tra gli investitori.

Ma la soglia minima di adesione, inizialmente fissata più in alto, è stata abbassata al 35%: un chiaro segnale di flessibilità per rendere l’offerta più appetibile e spingere i soci più esitanti a farsi avanti. Il traguardo vero resta però ben più ambizioso: il 66,6%, soglia che garantirebbe il controllo pieno di piazzetta Cuccia e permetterebbe di sfruttare i crediti fiscali, stimati in oltre 2 miliardi di euro.

Nagel contrattacca, i piccoli soci temporeggiano

Il fronte interno a Mediobanca è tutt’altro che compatto. L’amministratore delegato Alberto Nagel continua a difendere la fortezza milanese con ogni mezzo. Dopo aver tentato – invano – l’affondo su Banca Generali per alleggerire il portafoglio da Generali e scoraggiare gli appetiti senesi, Nagel ha nuovamente bocciato l’offerta di Mps definendola “non coerente con il valore strategico dell’istituto”.

I grandi soci esterni al patto di consultazione – Delfin (Leonardo Del Vecchio) e il gruppo Caltagirone – osservano con attenzione. Sono loro gli arbitri silenziosi di un’operazione che potrebbe cambiare il volto della finanza italiana. Entrambi hanno già mostrato interesse per un riequilibrio degli assetti a piazzetta Cuccia, ma non si sono ancora esposti. Il loro eventuale sostegno a Siena potrebbe essere decisivo.

Un patto sempre più debole: chi esce e chi resta

Intanto il patto di consultazione interno a Mediobanca si assottiglia. Dopo l’uscita clamorosa di Mediolanum e le vendite graduali del gruppo Gavio, anche Lucchini – colosso siderurgico bresciano – ha ceduto circa 120mila azioni, pari a meno dello 0,02% del capitale. Il patto ora rappresenta solo il 7,8% del capitale complessivo, numeri insufficienti per bloccare o condizionare seriamente l’Ops.

Le vendite frazionate riflettono più di un’inquietudine strategica: alcuni soci vogliono evitare di schierarsi in una partita che appare ancora incerta, altri colgono l’occasione per monetizzare su un titolo ai massimi storici. Mediobanca, infatti, viaggia su valori di Borsa molto alti, mentre l’offerta di Mps non tiene il passo, lasciando sul campo uno “sconto implicito” che resta il vero nodo da sciogliere.

Uno sconto da colmare, un rilancio possibile

Proprio lo sconto – anche se attenuato rispetto alle prime versioni dell’offerta – è oggi l’elemento più divisivo. I titoli Mediobanca trattano a valori superiori rispetto alla valorizzazione implicita nell’offerta Mps. Per molti investitori il premio è insufficiente, soprattutto se rapportato alla qualità degli attivi di piazzetta Cuccia e al suo storico ruolo nel sistema italiano.

Da ambienti vicini a Siena si lascia però intendere che uno spazio per il rilancio esiste. L’offerta scade l’8 settembre, e in questi due mesi lo scenario potrebbe mutare. I mercati, intanto, guardano con interesse: l’azione Mps ha mostrato una lieve volatilità nei giorni scorsi, mentre Mediobanca ha tenuto i livelli, segno che gli operatori non escludono contromosse.

Le mosse future: una partita che coinvolge tutto il sistema

L’operazione Mps su Mediobanca è solo la punta dell’iceberg di un risiko che tocca tutta la filiera finanziaria italiana. Lo dimostra il legame, tutt’altro che secondario, con Generali: Mediobanca è azionista di riferimento della compagnia triestina, e ogni cambiamento al vertice milanese può avere effetti immediati anche sul Leone. Da qui la reazione prudente dei grandi investitori, compresa BlackRock, che ha mantenuto le proprie posizioni ma ha avviato un’analisi di rischio sull’operazione.

Il Tesoro, azionista ancora dominante di Mps con oltre il 60%, osserva con interesse. In un contesto in cui la privatizzazione del Monte resta formalmente sul tavolo, l’integrazione con Mediobanca potrebbe rappresentare una via di uscita strategica per lo Stato. Ma per ora, ufficialmente, l’esecutivo si tiene fuori dalla partita.

Un duello che deciderà il futuro della finanza italiana

Il confronto tra Mps e Mediobanca non è solo una battaglia tra due istituzioni, ma uno scontro tra due idee di sistema finanziario: da un lato l’attivismo senese, sospinto da logiche di consolidamento e razionalizzazione; dall’altro la visione indipendente e storicamente elitaria di piazzetta Cuccia.

La riduzione della soglia minima e le cessioni frazionali dei soci minori indicano che il terreno si sta preparando per una sfida ad armi (quasi) pari. Ma la chiave sarà sempre la fiducia: dei soci, dei mercati e degli arbitri silenziosi come Delfin e Caltagirone. La partita è aperta, ma da oggi le regole del gioco non sono più le stesse.

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