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BoT e BTp, la riscossa delle famiglie italiane

- di: Bruno Legni
 
BoT e BTp, la riscossa delle famiglie italiane
BoT e BTp, la riscossa delle famiglie italiane
Dal ritorno degli italiani ai titoli di Stato al nuovo equilibrio tra banche, risparmiatori e investitori esteri: come si è trasformata la mappa del debito pubblico e perché l’Italia oggi è percepita come un porto più sicuro di altri grandi Paesi europei.

Gli italiani tornano a essere “BoT people”, ma in una versione aggiornata al 2025. Le famiglie e le imprese non stanno semplicemente comprando più titoli di Stato: stanno ridisegnando la geografia del debito pubblico, affiancandosi alle banche e agli investitori esteri in un equilibrio nuovo, molto diverso da quello di pochi anni fa.

A fine estate 2025, famiglie e imprese detengono circa 442 miliardi di euro in BoT e BTp, pari a circa il 14,4% del debito pubblico, che sfiora i 3.100 miliardi di euro. Una quota praticamente raddoppiata rispetto al minimo toccato nel 2021 e che segna un cambio di passo netto nelle scelte di risparmio del Paese.

Al centro di questo movimento c’è un messaggio molto preciso: la fiducia nell’Italia è tornata. Fiducia nella tenuta economica, nella stabilità sociale e, soprattutto, nella capacità del Paese di affrontare una fase internazionale complicata senza deragliare.

Famiglie e imprese tornano “BoT people”

Per anni il piccolo risparmiatore italiano è stato raccontato come un soggetto prudente ma immobilizzato: troppe giacenze sui conti correnti, poca propensione a pianificare, paura dei mercati finanziari. Oggi il quadro è cambiato.

Negli ultimi anni la ricchezza finanziaria delle famiglie ha continuato a crescere, superando la soglia dei 6.000 miliardi di euro, mentre la componente obbligazionaria in portafoglio è salita in modo deciso, sfiorando i 500 miliardi. Una buona fetta di questa crescita è legata proprio ai titoli di Stato, spinti dal ritorno di rendimenti interessanti dopo la lunga stagione dei tassi prossimi allo zero.

Non si tratta solo di famiglie: anche le imprese non finanziarie hanno ricominciato a usare BoT e BTp come parcheggio relativamente sicuro della liquidità, soprattutto in un contesto di incertezze geopolitiche e di crescita debole. In questo modo, famiglie e aziende sono tornate a essere un pilastro diretto del finanziamento dello Stato.

Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, riassume così il sentimento che si coglie dietro ai numeri: “Le famiglie italiane tornano sui titoli di Stato quando percepiscono che il Paese tiene, che non è sul bordo del precipizio”, osserva, spiegando come non sia solo una questione di rendimento, ma anche di stabilità percepita sul piano economico e politico.

Il nuovo ruolo delle banche

In questo scenario le banche italiane restano un attore centrale, ma con un ruolo in evoluzione. Anche se la loro quota relativa sul debito pubblico è scesa rispetto ai picchi degli anni della crisi e della pandemia, gli istituti di credito continuano a detenere più di 620 miliardi di BoT e BTp nei portafogli.

Non è più il tempo delle maxi ondate di acquisti forzati, ma quello di una presenza strutturale. Gli istituti restano tra i principali finanziatori dello Stato, pur con un approccio più prudente e selettivo. Durante la fase acuta del Covid, il sistema bancario aveva funzionato da cuscinetto, assorbendo una parte rilevante delle emissioni e garantendo che il collocamento dei titoli andasse a buon fine.

Oggi la situazione è diversa: le banche continuano a fare la loro parte, ma il baricentro si è leggermente spostato. Sileoni insiste su questo punto: “Il settore bancario resta un pilastro della stabilità finanziaria del Paese, ma il sistema non può reggere solo sulle spalle degli istituti: il ritorno delle famiglie sui titoli di Stato è un segnale salutare di equilibrio”, rivendica il numero uno Fabi.

In altre parole, il sistema è meno sbilanciato: meno concentrazione del rischio sui bilanci bancari, più partecipazione diffusa di risparmiatori e imprese. Una normalizzazione che, paradossalmente, passa per un aumento del debito ma con una distribuzione più equilibrata tra i diversi detentori.

La spinta degli investitori esteri

La terza gamba del sistema resta quella degli investitori esteri, che negli ultimi anni hanno aumentato la propria esposizione sui titoli di Stato italiani. La quota detenuta da fondi e operatori internazionali si aggira intorno a un terzo del totale del debito pubblico, ai massimi degli ultimi anni.

Questo ritorno di interesse non era affatto scontato. In un’Europa attraversata da tensioni politiche, elettorali e istituzionali, con la Germania alle prese con una crescita debole e la Francia sotto pressione per i conti pubblici, l’Italia ha cominciato a essere letta sui mercati come un “porto relativamente sicuro”.

Sileoni sottolinea con forza il risvolto politico di questo dato: “Se i fondi internazionali tornano in modo così robusto sui nostri titoli, significa che l’Italia è percepita più stabile di altri partner europei. È un giudizio che vale quanto, se non più, di un report di rating”, rimarca il sindacalista.

Gli investitori non residenti, insomma, non comprano solo per l’effetto delle cedole più generose, ma anche perché vedono un Paese meno fragile di quanto si raccontasse qualche anno fa. Un segnale che, a sua volta, contribuisce a rafforzare il circolo virtuoso della fiducia: se i fondi stranieri comprano Italia, anche famiglie e imprese interne si sentono più rassicurate.

Rendimenti, inflazione e il ritorno del “premio Italia”

Dietro il ritorno di interesse per BoT e BTp c’è, naturalmente, anche una componente molto concreta: i rendimenti. L’uscita dalle politiche monetarie ultra-espansive e il ciclo di rialzi dei tassi hanno riportato le cedole su livelli che i risparmiatori italiani non vedevano da tempo.

Per una famiglia che ha visto l’inflazione erodere i risparmi tra il 2022 e il 2023, l’idea di bloccare una parte del patrimonio in titoli di Stato indicizzati o a tasso fisso con rendimenti reali meno penalizzanti è diventata improvvisamente più attraente rispetto a lasciare la liquidità ferma sul conto corrente.

In questo contesto hanno avuto enorme successo i collocamenti dedicati al retail, dai BTp pensati per i piccoli risparmiatori alle emissioni con premi fedeltà. Strumenti che hanno intercettato la crescente domanda di sicurezza, offrendo allo stesso tempo un rendimento percepito come equo.

Non va dimenticato, però, che più salgono i rendimenti, più aumenta anche il costo del servizio del debito per lo Stato. La scommessa, nelle stanze dei ministeri economici, è che l’aumento del costo medio delle emissioni venga bilanciato da una crescita, seppur moderata, dell’economia e da una maggiore stabilità nella domanda di titoli.

Un’Italia più stabile degli altri? Il confronto europeo

Una parte del mercato finanziario internazionale, guardando alla mappa europea, vede oggi l’Italia come un Paese che, pur con un debito molto elevato, ha dimostrato una certa resilienza politica e sociale. Mentre altri partner faticano a trovare governi stabili o si muovono in contesti istituzionali più incerti, Roma appare – almeno per ora – meno esposta a shock improvvisi.

Non significa che il quadro sia privo di rischi. Il debito resta tra i più alti dell’area euro in rapporto al Pil e la crescita potenziale è ancora debole. Ma il modo in cui il debito è detenuto – più diffuso tra famiglie, imprese, banche e investitori esteri – rende meno probabili quegli sbilanciamenti improvvisi che, in passato, avevano alimentato le fiammate dello spread.

È questo il punto su cui insiste Sileoni quando legge i numeri del nuovo rapporto: “Famiglie, banche e investitori internazionali si muovono in modo diverso, ma la direzione è convergente: tutti stanno scommettendo sulla tenuta dell’Italia. È questo il vero messaggio politico di questi dati”, conclude il segretario generale della Fabi.

I rischi da non sottovalutare

Dietro il ritorno di fiducia, però, restano alcune questioni aperte. La prima riguarda il rischio di una eccessiva concentrazione della ricchezza delle famiglie sui titoli di Stato. Se da un lato BoT e BTp offrono sicurezza relativa, dall’altro espongono i portafogli domestici alle oscillazioni dei mercati obbligazionari e alle scelte di politica monetaria.

La seconda questione è la dipendenza strutturale del Paese da un debito molto elevato. Finché i tassi restano sotto controllo e la fiducia dei mercati regge, la situazione resta gestibile. Ma un eventuale cambio di clima – per tensioni geopolitiche, nuove crisi finanziarie o scelte sbagliate di politica economica – potrebbe riaccendere rapidamente lo spettro della volatilità.

Infine c’è il tema dell’educazione finanziaria. La corsa ai titoli di Stato è positiva se inserita in portafogli diversificati e consapevoli; meno se frutto di scelte emotive, spinte dalla paura dell’inflazione o dalla ricerca affannosa di un “porto sicuro” senza valutarne davvero i rischi.

Cosa significa per il futuro del debito italiano

Il ritorno delle famiglie sui BoT e sui BTp, la presenza ancora massiccia delle banche e il rinnovato interesse degli investitori esteri raccontano un’Italia che sta cercando di normalizzare il proprio debito, distribuendolo in modo più equilibrato tra attori diversi.

Se questo equilibrio reggerà, il Paese potrà contare su una base più solida di finanziatori, meno esposta alle ondate speculative e più legata alle dinamiche interne dell’economia reale. Ma la credibilità conquistata sui mercati è un capitale fragile: si costruisce lentamente, con politiche coerenti e riforme credibili, e può essere messa in discussione molto rapidamente.

Per ora, il messaggio che arriva dai numeri è chiaro: famiglie, banche e investitori stranieri stanno scommettendo sull’Italia. Tocca alla politica, alla Banca d’Italia e agli operatori finanziari non disperdere questo patrimonio di fiducia, trasformandolo in un percorso di crescita meno fragile e, finalmente, più duraturo.

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