Le famiglie italiane tornano a spendere tra bollette e timori sul futuro. Elettrodomestici, vacanze e tecnologia tengono, ma la stabilità resta un miraggio.
Il paradosso degli italiani: ottimisti con cautela
In bilico tra voglia di normalità e prudenza, gli italiani tornano a spendere. Ma lo fanno col freno a mano tirato, in un contesto dove l'incertezza economica resta alta, e il desiderio di sicurezza supera la spinta verso la crescita.
La tesi è chiara: nonostante il calo della fiducia, le intenzioni di spesa crescono. E non si tratta solo di sogni nel cassetto, ma di scelte concrete. A trainare il ritorno alla normalità sono soprattutto le vacanze estive, già prenotate dal 37,7% degli italiani — la quota più alta degli ultimi sei anni. Seguono l'acquisto di elettrodomestici (+10,9%), prodotti tecnologici (+9,1%), mobili (+5,6%), automobili (+4,3%) e persino ristrutturazioni domestiche (+3,8%).
Sangalli: “Meno tasse per ricostruire la fiducia”
Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, è netto: “Le famiglie italiane mostrano grande resilienza. Ma senza una riduzione della pressione fiscale, è impossibile restituire fiducia e rilanciare consumi e investimenti”.
L’Italia, secondo l’associazione, può centrare una crescita dell’1% dei consumi reali sia nel 2025 che nel 2026, ma solo a condizione che non si verifichino nuovi shock esterni e che si ridia fiato alle famiglie.
Consumi in ripresa, ma non per tutti
La fotografia ha luci e ombre. Da un lato, il 46,5% degli italiani si definisce “ottimista nonostante tutto”, mentre il 67,4% dice di voler “mantenere un tenore di vita adeguato”, più che migliorarlo.
Dall’altro, le spese obbligate continuano a pesare per oltre la metà delle famiglie (56,3%), seguite dal timore di una riduzione dei redditi (25%) e dalla necessità di accantonare risorse per imprevisti (18,7%).
Le preoccupazioni più diffuse? Malattia (49,2%) e mancanza di risorse economiche (47,2%). Le famiglie più vulnerabili restano quelle del Mezzogiorno e quelle a basso reddito. Solo il 9,7% prevede un aumento del proprio reddito nella seconda metà del 2025.
L’economia tiene, ma la vulnerabilità resta diffusa
L’Italia ha mostrato finora una discreta tenuta macroeconomica, con fondamentali stabili e segnali di vitalità nei settori del turismo, del commercio e dei servizi. Il Pil dovrebbe crescere dell’1,1% nel 2025, leggermente sopra la media dell’Eurozona.
Ma questa stabilità non si è ancora tradotta in un rafforzamento della fiducia. Il problema non è solo economico, ma anche psicologico e sociale: “La percezione diffusa è che basti poco per perdere quello che si ha”.
Psicologia del consumatore: l’Italia del “forse sì, forse no”
Il comportamento delle famiglie italiane nel 2025 è l’espressione di un realismo inquieto. Non c’è più la paura paralizzante dei mesi post-pandemici, ma nemmeno un’adesione entusiastica al consumo. C’è piuttosto una nuova strategia individuale di “ottimismo cautelativo”: si spende, ma si calibra, si pianifica con attenzione.
Come nota l’analista sociologo Marco Baldi, “gli italiani non stanno tornando a spendere perché credono che tutto andrà meglio, ma perché vogliono vivere, viaggiare, migliorare la qualità della vita. È un bisogno esistenziale prima ancora che economico”.
Il nodo fiscale e il peso delle spese fisse
Il tema fiscale resta centrale. Il 72% delle famiglie italiane ritiene che le tasse siano troppo alte in rapporto ai servizi ricevuti. In particolare, preoccupano l’aumento della tassazione locale e i costi della sanità privata, cui molti ricorrono per aggirare le liste d’attesa.
Confcommercio insiste su questo punto: “Occorre una svolta fiscale, strutturale e credibile, per liberare risorse per i consumi. Solo così potremo dare stabilità alla crescita”. In assenza di interventi, l’aumento dei consumi rischia di essere temporaneo e diseguale.
Resilienza sì, ma serve fiducia concreta
Il rapporto è una finestra aperta su un’Italia che non si arrende, ma che ha bisogno di condizioni nuove per tornare a correre. Le famiglie italiane, oggi più che mai, non cercano miracoli: chiedono stabilità, meno incertezze e un fisco più equo.
Dietro ogni acquisto, ogni prenotazione, ogni progetto c’è il tentativo di riprendersi un pezzo di futuro. Ma senza una spinta pubblica forte — meno tasse, servizi più efficienti, tutele più solide — il rischio è che questa fragile ripartenza si fermi a metà.
In fondo, lo dicono anche i numeri: spendiamo per non soccombere, non ancora per crescere. E questo è il segnale più chiaro che la politica, oggi, non può più permettersi di ignorare.