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Draghi osserva e aspetta: il suo nome agita i piani alti della finanza

- di: Bruno Legni
 
Draghi osserva e aspetta: il suo nome agita i piani alti della finanza
Dopo il suo rapporto sulla competitività europea, l’ex premier torna al centro dei giochi. A Bruxelles si parla di un nuovo ruolo strategico, a Roma cresce l’attesa. E i mercati ascoltano in silenzio.
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Una figura che non ha bisogno di incarichi per contare
C’è chi entra nei palazzi del potere e chi li attraversa senza far rumore, ma lasciando segni profondi. Mario Draghi appartiene a questa seconda categoria. Da mesi non ricopre alcuna carica ufficiale, ma ogni sua parola — o anche solo la sua assenza — smuove ministri, banchieri e commissari europei. Dopo aver consegnato a settembre 2024 il suo rapporto sulla competitività europea, Draghi è tornato a muoversi come un ‘primus inter pares’ nella geografia dell’economia politica continentale: pochi interventi, altissima autorità, totale libertà d’azione.
“Non servono titoli per dare indicazioni strategiche. Serve credibilità. E Draghi ne ha più di chiunque altro in Europa”, ha dichiarato un funzionario del Consiglio europeo a Politico.eu. In altre parole: la sua agenda può ancora decidere il futuro del continente.
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Il documento Draghi: diagnosi impietosa, ricetta ambiziosa
Il rapporto, richiesto ufficialmente dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e consegnato in settembre a Bruxelles, è un documento dirompente. Il tono è chirurgico. L’analisi è netta: l’Europa è troppo lenta, troppo frammentata e troppo debole per reggere l’urto geopolitico di Cina, Stati Uniti e India. Le sue imprese investono meno, crescono meno e innovano meno. “La produttività ristagna, la transizione ecologica rischia di essere una zavorra e non un volano, la dipendenza tecnologica ci condanna all’irrilevanza”, si legge nel testo.
La cura Draghi? Un new deal continentale da 800 miliardi l’anno, tra investimenti pubblici, credito privato, coordinamento fiscale e debito comune. Non una manovra una tantum, ma una trasformazione strutturale. Per Draghi serve un Mercato Unico del Capitale, un’agenzia europea per l’innovazione strategica, un sistema integrato di difesa e un green industrial act che sia “non solo risposta ai dazi, ma fondamento per una nuova sovranità europea”.
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Tra Bruxelles e Roma, chi scommette sul grande ritorno
Le speculazioni si rincorrono. Alcuni osservatori ipotizzano che Draghi possa tornare in campo, magari come presidente del Consiglio europeo, oppure come alto rappresentante per la competitività industriale. La stessa von der Leyen ha più volte definito il suo contributo “fondamentale per il rilancio del progetto europeo”.
A Roma, il nome di Draghi è tornato a circolare con forza in ambienti economici, soprattutto in vista di un possibile rimpasto autunnale che coinvolgerebbe le deleghe strategiche su industria, PNRR e relazioni con l’UE. “Sarebbe lo scudo ideale contro la tempesta Trump che rischia di travolgere i mercati europei nei prossimi mesi”, ha osservato il politologo Lorenzo Codogno.
Ma l’ipotesi più sussurrata — e più temuta da alcuni — è che Draghi possa accettare una nuova missione sui mercati finanziari europei. Il suo nome è stato fatto a mezza voce per guidare la riforma dell’Unione bancaria, in particolare il nodo dell’assicurazione comune sui depositi e dell’integrazione tra banche e mercati dei capitali. Germania e Olanda frenano. Ma Italia e Francia spingono.
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I mercati aspettano. E scommettono
Le parole “Draghi” e “debito comune europeo” hanno avuto un effetto immediato. A settembre 2024, dopo la pubblicazione del rapporto, lo spread tra BTP e Bund era sceso sotto i 130 punti, segnando un minimo storico da quattro anni.
“Draghi è l’unico attore in grado di mettere d’accordo Parigi, Berlino e Roma sulla necessità di una strategia industriale comune”, ha scritto The Economist. Aggiungendo: “La domanda non è se Draghi tornerà, ma quando e in che forma”.
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Il silenzio strategico: una postura da ex banchiere centrale
Chi conosce Draghi sa bene che il silenzio è spesso la sua più efficace dichiarazione d’intenti. Interviene solo quando è necessario. Ha parlato al Parlamento europeo il 7 febbraio 2025. Poi, di nuovo, in audizione al Senato italiano il 18 marzo. Poche frasi. Ma taglienti. “L’Europa deve rispondere con una voce sola alla nuova fase dei dazi e alla disintegrazione del mercato globale”, ha detto in quella sede. Nessun altro ex leader europeo ha una tale legittimazione, né una simile capacità di coalizione.
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L’ombra lunga di Draghi sull’Europa che cerca guida
Nel momento in cui l’Europa si trova a un bivio tra rilancio e implosione, Draghi resta l’unico punto fermo. Non è un candidato, non è un ministro, non è un lobbista. Ma resta, per molti, il presidente mancato dell’Europa.
Lui osserva. E aspetta. Ma chi lo conosce sa che, se deciderà di muoversi, non sarà per una passerella. Sarà per fare, ancora una volta, “whatever it takes”.

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