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Ho detto basta: la mia rinascita dopo una relazione tossica

- di: Marta Giannoni
 
Ho detto basta: la mia rinascita dopo una relazione tossica
Dal buio alla luce: come ho ritrovato me stessa lasciando tutto.
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Quando dire basta diventa un atto di sopravvivenza
Per anni ho vissuto nell’ombra di una relazione che mi consumava. Ogni giorno era una battaglia silenziosa tra ciò che sentivo e ciò che mostravo. Il mio partner non mi picchiava, non urlava, non alzava mai la voce. Ma mi svuotava lentamente: ogni gesto era controllato, ogni emozione ridimensionata, ogni successo sminuito. La violenza era sottile, ma profonda. “Non esagerare”, “Te la prendi sempre”, “Senza di me non ce la faresti”: frasi come queste, ripetute giorno dopo giorno, diventano cemento.
Avevo un buon lavoro in un’agenzia creativa, amici sparpagliati tra Roma e Milano, una vita apparentemente normale. Ma dentro di me c’era solo un enorme silenzio. Un giorno, guardandomi allo specchio in un bagno d’aeroporto, ho capito: non mi riconoscevo più. Non ero più io. E da lì, ho detto basta.
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I segnali ignorati e la lenta erosione dell’autostima
Secondo una ricerca dell’Università di Padova pubblicata nel 2024, oltre il 65% delle donne che vivono relazioni tossiche non si accorge della gravità della situazione fino a quando non subisce un evento traumatico, come una crisi di panico o una perdita improvvisa di controllo. “Il controllo psicologico è più insidioso di quello fisico”, afferma la professoressa Claudia Gentili, docente di Psicologia della comunicazione, “perché non lascia lividi visibili, ma devasta la percezione del sé”.
Nel mio caso, tutto è iniziato con battute. Poi con la gelosia. Poi con la solitudine. I miei amici “non ti capiscono”, il mio capo “ti sfrutta”, la mia famiglia “ti usa”. La strategia era chiara: isolarmi, farmi sentire fortunata ad averlo, spaventarmi con la minaccia del fallimento. Lavoravo in smart working, e piano piano ho smesso di uscire. Il mio mondo era diventato lui. E solo lui.
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La doppia gabbia: relazioni e lavoro
A peggiorare tutto c’era un lavoro che era diventato l’altra faccia della gabbia. Non era l’agenzia dei sogni che avevo immaginato: ambiente tossico, straordinari non pagati, maschilismo velato. “Qui sei sostituibile”, mi disse il direttore creativo il giorno in cui chiesi un aumento. Avevo paura di perdere tutto, ma in realtà stavo già perdendo me stessa.
Secondo il Barometro 2025 sul benessere lavorativo in Italia (pubblicato da Censis e Unipol il 15 aprile 2025), il 48% delle donne under 40 ha dichiarato di vivere condizioni lavorative stressanti, con episodi ricorrenti di ansia, insonnia e demotivazione. Un dato spaventoso, che si intreccia con il 39% di donne che si sentono “emotivamente svuotate” nel proprio ambiente di lavoro.
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Il momento della rottura
Non è stato un gesto eroico, né un’illuminazione romantica. È stato un crollo. Una sera, dopo l’ennesimo litigio su una sciocchezza – una cena con un’amica che non approvava – ho avuto una crisi respiratoria. Ambulanza, pronto soccorso, tachicardia. “Non è il cuore, è ansia acuta”, mi disse il medico di turno. Ricordo che nel letto dell’ospedale ho capito che stavo morendo da viva. E che nessuno sarebbe venuto a salvarmi, se non io stessa.
Tre giorni dopo ho fatto le valigie. Ho lasciato lui. E due settimane dopo ho dato le dimissioni.
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La rinascita: corpo, mente, parole
Rinascere non è un percorso lineare. Non esistono tutorial o miracoli. Esistono ostacoli, dubbi, ricadute. Ma esiste anche una forza che ti spinge avanti: la fame di vivere. Ho iniziato terapia con una psicologa specializzata in relazioni manipolatorie. Ho iniziato yoga. Ho ricominciato a scrivere.
“Sopravvivere a una relazione tossica è solo l’inizio. La vera sfida è ricostruire l’autenticità”, ha affermato la psicoterapeuta Pamela Busonero in un’intervista a Psicologia Contemporanea. “Bisogna smettere di avere paura del proprio potere personale”.
Piano piano, sono tornata a frequentare persone. Ho cambiato città. E soprattutto, ho cambiato narrazione: non sono una vittima, sono una donna che ha scelto di vivere.
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Le parole che liberano
Una delle scelte più importanti è stata raccontare la mia storia. Prima in forma anonima su Reddit, poi in un blog. Le reazioni mi hanno sorpreso: centinaia di commenti, condivisioni, lettere di altre donne che vivevano la stessa prigione silenziosa. “Le tue parole mi hanno fatto trovare il coraggio”, mi ha scritto Marta, 34 anni, da Bologna. “Ti leggo da settimane, e oggi ho deciso di parlare con mia madre”, ha scritto un’altra donna, anonima.
Non sono una terapeuta, non sono un’eroina. Ma oggi so una cosa: la verità condivisa guarisce più di mille silenzi.
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Un messaggio per chi si riconosce
Se hai letto fino a qui, forse anche tu senti un peso addosso. Forse ti sembra che sia colpa tua, che stai esagerando, che dovresti solo “resistere”. No. Il dolore non va normalizzato. L’infelicità non è un destino. E soprattutto, nessuna relazione – amorosa o lavorativa – vale la tua salute mentale o la tua dignità.
Ricorda: dire basta è l’inizio, non la fine. È il primo atto d’amore verso te stessa. E da lì, tutto può cambiare.

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