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Difesa comune europea: tra vaghezze politiche e contraddizioni

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Difesa comune europea: tra vaghezze politiche e contraddizioni
La difesa comune europea resta un'idea sbandierata, ma mai realmente strutturata. Tra dichiarazioni di principio e promesse vaghe, i partiti italiani ed europei faticano a trovare una linea chiara su un tema che, sulla carta, dovrebbe unire più che dividere. Un esercito comune? Il rafforzamento dei confini? Una NATO all'europea? Tutto e niente, a seconda della platea di riferimento.

Difesa comune europea: tra vaghezze politiche e contraddizioni

Il governo Meloni si mostra favorevole al rafforzamento della difesa europea, ma nei limiti di un'alleanza atlantica che resta il riferimento strategico. Il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato più volte di una maggiore integrazione tra le forze armate dei Paesi UE, ma senza mai spingersi fino all’ipotesi di un esercito comune. Il rischio, secondo Fratelli d’Italia, sarebbe quello di indebolire il legame con gli Stati Uniti e creare una sovrastruttura burocratica inefficiente.

Il Partito Democratico, da parte sua, sostiene l’idea di un’Unione più autonoma militarmente, ma senza strappi con la NATO. Enrico Letta, quando era segretario, aveva spinto per una difesa comune come passo necessario per una maggiore indipendenza dell’UE, ma nel dibattito attuale la linea del PD appare meno netta. Si parla di investimenti coordinati e di sinergie, concetti che restano fumosi senza una reale volontà di superare le logiche intergovernative.

Nel campo del Movimento 5 Stelle la posizione è oscillante. Se da un lato si riconosce la necessità di rafforzare la sicurezza comune, dall’altro c’è il timore di un riarmo incontrollato e del coinvolgimento dell’Europa in conflitti non voluti. Giuseppe Conte insiste su una strategia diplomatica prima ancora che militare, mentre una parte del Movimento resta diffidente verso qualsiasi meccanismo che accresca la spesa bellica.

A destra, la Lega guarda con sospetto all’idea di un esercito comune. Matteo Salvini non si fida di una struttura sovranazionale che toglierebbe sovranità agli Stati, preferendo invece un rafforzamento delle singole difese nazionali e una politica più aggressiva di controllo dei confini. Parallelamente, Forza Italia, nel solco della tradizione atlantista di Berlusconi, spinge per una maggiore integrazione con la NATO piuttosto che per un’autonomia strategica europea.

Tra propaganda e inerzia

Il risultato è un dibattito sterile, in cui ogni partito modula la propria posizione in base al pubblico di riferimento senza mai arrivare a una proposta concreta. La guerra in Ucraina ha acceso il tema della difesa, ma non ha prodotto una vera svolta politica. L’UE continua a dividersi tra chi vuole un esercito comune, chi teme un doppione della NATO e chi, più semplicemente, evita di prendere una posizione netta.

Nel frattempo, mentre si discute, la realtà avanza: le spese militari aumentano, i contratti per nuovi armamenti si moltiplicano e la difesa europea resta un cantiere aperto senza architetti con un vero progetto. In un’Europa che si dice sempre più unita, la difesa comune continua a essere un’utopia incompiuta.

L'ostacolo delle sovranità nazionali

Uno degli elementi centrali della discussione è il peso delle sovranità nazionali. Molti Paesi dell’Unione temono che un esercito comune possa limitare la loro autonomia decisionale in ambito militare. Francia e Germania, storicamente favorevoli a una maggiore integrazione della difesa europea, spesso si scontrano con i Paesi dell’Est, che vedono la NATO come unico baluardo credibile contro la minaccia russa.

L’Italia, dal canto suo, gioca un ruolo ambiguo. Da un lato partecipa alle missioni europee e sostiene l’integrazione delle politiche di difesa, dall’altro rimane legata a una visione tradizionale della sicurezza, fondata su un’alleanza privilegiata con Washington. Questo approccio ibrido contribuisce a rallentare qualsiasi vera iniziativa di difesa comune.

Gli interessi economici e l'industria bellica

Oltre agli ostacoli politici, esistono anche forti interessi economici che frenano il processo di unificazione della difesa. L’industria bellica europea è frammentata e ogni Paese tende a proteggere le proprie aziende nazionali. Francia, Italia e Germania hanno alcune delle più grandi industrie della difesa del continente, e le commesse miliardarie che derivano dalla produzione di armi rendono difficile trovare un compromesso tra standard comuni e protezione degli interessi nazionali.

Questo spiega perché, nonostante le dichiarazioni di principio, l’Europa non sia riuscita a creare un vero e proprio mercato comune della difesa. Ogni Stato continua a sviluppare i propri sistemi d’arma, spesso in concorrenza tra loro, e la mancanza di una strategia unitaria porta a sprechi e inefficienze.

Il futuro della difesa europea

La strada verso un esercito europeo è ancora lunga e piena di ostacoli. La questione della sovranità, gli interessi economici e la mancanza di una visione condivisa rendono difficile immaginare una svolta nel breve termine. Tuttavia, le sfide geopolitiche attuali potrebbero costringere l’Europa a prendere decisioni più coraggiose. La crescente instabilità globale, dalle tensioni con la Russia alla competizione con la Cina, potrebbe spingere i leader europei a un’accelerazione del processo di integrazione militare.

Per ora, la difesa comune resta un progetto sulla carta, un’idea evocata nei discorsi ufficiali ma mai realmente concretizzata. Fino a quando non ci sarà una volontà politica chiara, l’Europa continuerà a dipendere dalla NATO e a navigare a vista, senza una strategia autonoma e condivisa.
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