Gérard Depardieu, icona del cinema francese e volto internazionale dell’arte recitativa europea, è stato condannato a 18 mesi di reclusione con la condizionale per aggressioni sessuali nei confronti di due donne. I fatti risalgono al 2021 e sono avvenuti sul set del film “Les Volets Verts”, dove l’attore, all’epoca sessantottenne, avrebbe molestato due comparse durante le riprese. La sentenza è stata pronunciata a porte chiuse dal tribunale correzionale di Parigi, e ha immediatamente polarizzato l’opinione pubblica.
Gérard Depardieu condannato: Francia divisa tra giustizia e cultura
Il procedimento si è svolto nell’ambito di un’indagine parallela rispetto a quella più nota, ancora in corso, relativa a una presunta violenza sessuale ai danni dell’attrice Charlotte Arnould. La procura ha fatto sapere che i comportamenti contestati “sono stati ritenuti fondati sulla base di testimonianze coerenti e riscontri oggettivi”. La condizionale implica che Depardieu non sconterà fisicamente la pena, ma qualsiasi nuovo reato entro i prossimi anni potrebbe riaprire il fascicolo con conseguenze più gravi.
Reazioni contrastanti: tra indignazione e silenzio del mondo dello spettacolo
La Francia si scopre spaccata. Da una parte il sostegno incondizionato di parte dell’industria cinematografica, che invita a separare l’uomo dall’artista; dall’altra, le voci sempre più forti che chiedono trasparenza, responsabilità e una riflessione strutturale sul potere maschile nei luoghi della cultura. Charlotte Arnould, che continua a portare avanti la sua battaglia legale, ha dichiarato su X: “Oggi non ho vinto io, ma abbiamo fatto un passo”.
Depardieu, che ha sempre respinto ogni accusa, non era presente in aula. In una dichiarazione diffusa dai suoi legali, ha ribadito la propria innocenza, definendo la sentenza “ingiusta” e annunciando il possibile ricorso in appello. “Non ho mai avuto intenzione di umiliare nessuno – ha scritto – e continuerò a difendermi fino alla fine”.
Un’icona al tramonto: dalla gloria internazionale alla crisi d’immagine
Con oltre 200 film all’attivo, premi in tutto il mondo e una carriera che attraversa mezzo secolo di storia del cinema, Gérard Depardieu è stato per anni l’ambasciatore artistico della Francia nel mondo. Da “Cyrano de Bergerac” a “Green Card”, da “Jean de Florette” a “Camille Claudel”, ha incarnato l’uomo colto e sensuale, brutale e romantico, con una fisicità che ha lasciato il segno.
Negli ultimi anni, però, la sua figura pubblica è stata sempre più offuscata da polemiche, comportamenti provocatori e dichiarazioni discutibili, fino alla svolta giudiziaria. La sua adesione alla cittadinanza russa nel 2013, motivata da dissenso verso il fisco francese, e la sua amicizia con Vladimir Putin hanno sollevato critiche feroci nel contesto del conflitto in Ucraina.
La cultura francese tra autocritica e responsabilità
Il caso Depardieu si inserisce in un contesto più ampio, quello del rinnovato esame critico sulla cultura del silenzio nei luoghi dell’arte. “Non è più tempo di nascondere ciò che accade nei set, nei teatri, nei corridoi delle accademie”, ha commentato Sandrine Rousseau, deputata ecologista. Il Centre National du Cinéma ha avviato un’indagine interna per valutare i protocolli di tutela nei luoghi di lavoro artistico.
Intanto, a Cannes, la Palma d’Oro onoraria assegnata a Robert De Niro si è trasformata in un discorso militante: “Noi artisti siamo una minaccia per i fascisti”, ha detto l’attore americano in riferimento a Trump. Una frase che molti hanno letto anche come una chiamata all’impegno collettivo, perché la cultura non può essere solo intrattenimento, ma anche giustizia e memoria.