Cronache dai Palazzi - La riforma della giustizia sia ''per'' tutti e non ''contro'' qualcuno

- di: Redazione
 
Sulla Giustizia, nel senso più alto del termine, l'Italia si sta preparando ad affrontare una battaglia ideologica epocale, che vede, su fronti contrapposti, il governo - e la maggioranza di cui è espressione - e la magistratura, compatta al di là delle sempre troppe correnti che la compongono.
Non conscendo ancora tutti i contenuti della riforma della Giustizia, di cui il Governo annuncia, sin quasi dal suo insediamento, l'imminente varo, la nostra attenzione si deve appuntare su quello che dovrebbe essere il suo punto più dirimente.

La riforma della giustizia sia ''per'' tutti e non ''contro'' qualcuno 

Parliamo della separazione delle carriere (irrinunciabile per Forza Italia), senza la quale, per la maggioranza di governo, la Giustizia non sarà mai vera, giusta, reale. A sostanziare meglio di mille considerazioni quel che si sta per concretizzare e il clima che si respira, bastano, però, le parole pronunciate non dall'ultimo peones della maggioranza, ma dal vicepremier Matteo Salvini che, poco dopo l'arresto del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha illustrato il suo pensiero: se le microspie si mettessero anche negli uffici dei pubblici ministeri, chissà quante magagne si scoprirebbero.

Una affermazione apodittica che, in un Paese normale, avrebbe aperto un dibattito feroce perché ha rappresentato plasticamente una spaccatura tra poteri dello Stato, in cui uno - quello esecutivo - sospetta un altro - quello giudiziario - di non potere essere terzo, dal momento che la magistratura inquirente sarebbe a rischio di delinquere come le persone che dice di perseguire.
Sostenere che nelle segrete stanze delle procure c'è del marcio - non facendo dei distinguo e ricorrendo alla comoda politica di ''sparare nel mucchio'' - non contribuisce certo ad abbassare i toni della contrapposizione evidente tra Esecutivo e magistratura, che dovrebbero, invece, lavorare insieme per la legalità e non invece depotenziarsi a vicenda.

La riforma della Giustizia, nell'idea che se ne è fatta la gente, deve servire essenzialmente a snellirne i tempi dei processi, a fare sì che il cittadino - sia come promotore di una azione o che come destinatario - abbia certezza che il giudizio su di lui non sia eterno, in termini di celebrazione, ma venga definito il prima possibile. Per motivi pratici, ma anche per evitare di restare per anni con un asterisco accanto al nome, come a dire ''in ogni caso è un imputato'' oppure ''sta ancora aspettando che gli si rende giustizia''.

Cambiare la magistratura può anche essere giusto se la finalità è quella di migliorarla, non invece, come lasciano pensare le parole di importanti esponenti della maggioranza, di restringerne il campo d'azione, quando non addirittura privarla degli elementi pratici che le consentono di agire con efficacia.
Se la limitazione, nel tempo e dei modi, di strumenti di indagine telematici fosse stata già in vigore, oggi non avremmo l'inchiesta di Genova. Che, ribadiamo, è ancora distante dall'essere definita nei contenuti reali.
Ma, allo stesso modo, bisogna condannare l'uso indiscriminato dei contenuti delle intercettazioni che si prestano a strumentalizzazione, quando vengono decontestualizzati e usati come l'ariete contro il castello della Verità.

Ogni riforma, per definizione, dovrebbe essere fatta ''per'' e non ''contro'' e il muro contro muro che, intorno alla giustizia, si è determinato, fa male a tutti. A cominciare da chi, gente comune, quando entra in un'aula di tribunale, cerca solo giustizia.
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