Cronache dai Palazzi - Sul Patto di stabilità l'Italia non accetta la soluzione rigorista di Berlino
- di: Redazione
La riforma del patto di stabilità rischia di passare per l'ennesima occasione che i 27 dell'Unione europea vedono come un modo per battibeccare, per motivi politici e non sostanziali, e non invece per perseguire obiettivi condivisi.
Ma questa volta non è così, non è affatto così perché la partita che si sta giocando rischia di condizionare gli equilibri politici e, quindi, anche le alleanze, vecchie e nuove, e di conseguenza le prospettive per quel che accadrà, in primavera, dopo le elezioni per la formazione del prossimo europarlamento.
Prima di andare avanti, bisogna capire bene cosa sia lo ''Stability and Growth Pact'', che impone ai Paesi dell'Unione di rispettare specifici parametri di bilancio, che riguardano essenzialmente il deficit pubblico, che non deve superare il 3% del Pil. Una soglia che, sino ad oggi, per molti Paesi resta lontanissima, tanto che, in questa consapevolezza, il Patto di stabilità ''largheggia'', ammettendo almeno la possibilità di dimostrare che il disavanzo proceda ad un ritmo accettabile.
Sul Patto di stabilità l'Italia non accetta la soluzione rigorista di Berlino
Quindi, la Commissione europea diventa un controllore delle politiche dei singoli Paesi, per evitare che si discostino dai parametri fissati che devono essere ora discussi, con alcuni Paesi, a cominciare dall'Italia, che chiedono che siano modificati tenendo conto delle crisi che, negli ultimi anni, si sono abbattute sull'Europa.
Ora, a fronte dell'ottimismo mostrato dalla presidenza di turno spagnola, la prospettiva che si raggiunga un compromesso entro dicembre non è che sia effettivamente a portata di mano, vista le distanze che si stanno registrando. Come dimostrano le posizioni divergenti di Germania (che spinge affinché ci sia il massimo rigore sulla riduzione del debito e quindi del deficit) e Francia (che vorrebbe una maggiore elasticità sulla ''catalogazione'' fiscale che deve essere riconosciuta agli investimenti).
L'Italia non si trova in mezzo, perché la delicata situazione del Paese l'avvicina alla posizione della Francia, temendo che quella tedesca possa dimostrarsi devastante per i progetti del Governo Meloni. Al punto che l'Italia potrebbe fare ricorso a tutti gli strumenti in suo possesso per sbarrarne il cammino.
Se tutto dovesse andare per il meglio (al momento, però, non è certo questa l'impressione che si ha, visto il clima) e quindi si dovesse trovare un punto di caduta comune tra le varie posizioni, le nuove norme potrebbero entrare in vigore già l'anno prossimo, per essere quindi trasfuse nei bilancio del 2025.
La presidenza spagnola spande ottimismo in ogni occasione, come ha detto il ministro delle Finanze di Madrid, Nadia Calvino: "C'è ancora tanto lavoro da fare, ma come i pellegrini nel cammino di Santiago stiamo iniziando a vedere la meta. E vediamo che c'è un forte impegno di tutti i Paesi membri a contribuire a lavorare insieme e a raggiungere un accordo prima della fine dell'anno. Nulla è ancora deciso, ma gli scambi avuti consentiranno di fare progressi significativi nelle ultime settimane. Si spiana la strada a un pacchetto di compromesso, e per questo nei prossimi giorni faremo circolare le proposte legislative, e accelereremo i lavori a livello tecnico".
E l'Italia? Il governo resta fermo sulle sue posizioni, soprattutto se dovessero prevalere le tesi tedesche rispetto all'originaria formulazione del Patto della Commissione. Quindi, meglio che le cosi restino come prima, piuttosto che cedere al rigorismo portato avanti da Berlino. Un quadro che non favorirebbe l'Italia, ma che, a giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, sarebbe meglio che quello ipotizzato dai ''duri e puri'' della Germania.