Covid-19: l'Italia volta pagina, anche se il pallino resta in mano a Speranza

- di: Redazione
 
Alla fine l'Italia ce l'ha fatta, non a sconfiggere il Covid-19 o alla follia che è stata alimentata da chi se ne è servito per battaglie di retroguardia essenzialmente culturale. Ce l'ha fatta perché, dal 31 marzo decadono tutte quelle misure di cautela adottate per frenare la curva dei contagi - che resta ancora oggi preoccupante -, quando il virus dispiegava la sua maggiore forza aggressiva e la sua letalità. Oggi quel capitolo dolorosissimo non è accantonato, ma, con il progredire delle campagne vaccinali e il virus che sembra avere perso la sua carica potenzialmente esiziale, è arrivato il momento di abbassare la soglia dei divieti e di prendere atto, comunque, che l'Italia non sarà più come prima soprattutto perché, per affrontare il Coronavirus, si è dotata di strutture e professionalità che oggi sono risorse e non numeri di cui fare a meno.

L'Italia si prepara a entrare in una nuova fase della pandemia da Covid-19

È quindi ora di rimboccarsi le maniche, tutti, e cominciare a pensare a fare riconquistare al Paese quella normalità che ci manca da due anni e che oggi, per assurdo, consideriamo quasi una insperata conquista.
Il governo ha, con il decreto di ieri, ripreso a scrivere la storia futura del Paese dopo essere stato costretto (sia Draghi che Conte) ad occuparsi di un presente doloroso e, in certi momenti, molto più che incerto.

La decisione di cancellare i divieti, le limitazioni, la categorizzazione per colori delle regioni, rientra in quel lento processo di riappropriazione della vita normale, anche se questo concetto - vista la perdurante crisi economica che attanaglia da anni l'economia italiana - è dai confini abbastanza incerti.

Ma il governo non ha voluto cancellare del tutto il passato, ne avrebbe potuto realisticamente farlo, visto che ancora il virus circola e fa quotidianamente la sua raccolta di vite. Per questo, come ribadito ieri dallo stesso ministro Speranza, il decreto revoca, ma non spazza del tutto le misure anti-virus dei mesi passati, perché evidenze sanitarie potrebbero rendere urgente e necessario reimporle. In sostanza, se i dati dovessero peggiorare in modo che gli esperti potrebbero giudicare realmente preoccupanti, il Governo potrebbe tornare sui suoi passi.

Restano però degli interrogativi sull'ampiezza del decreto di ieri che, a meno che non ci sia sfuggito qualche passaggio, tra le pieghe del linguaggio burocratico, non fa menzione di un argomento che è stato molto sentito, sia pure in una cerchia ristretta, ancorché molto importante: le assemblee delle società. Da due anni a questa parte, adducendo motivi di sicurezza sanitaria, esse sono state vietate nel formato tradizionale - cioè in presenza -, riducendole non solo nella partecipazione fisica e nei numeri, ma anche nella funzione di garanzia degli azionisti che ad esse viene deputata da ogni statuto.

Per due anni, quindi, sulla base di principi generali legati alla pandemia da Covid-19, questo fondamentale appuntamento di democrazia delle società è stato sospeso, lasciando sempre il dubbio che non sia stato affatto sgradito a chi ha potuto fare e disfare senza la ''fastidiosa'' presenza dei piccoli azionisti. Una anomalia che è andata avanti anche in queste settimane quando qualcuno ha ritenuto che la facoltà di convocare un'assembla sempre senza una presenza ''vera'' degli azionisti fosse un'autorizzazione.
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