Covid-19: la folla nelle strade una sconfitta per tutti

- di: Diego Minuti
 
Le immagini che in queste ore ci rimandano a strade e piazze affollate, non solo nei luoghi deputati allo shopping, suonano a sconfitta di tutte le cose che ci siamo detti in questi lunghissimi mesi, in cui totale è stata (o almeno tale appariva) la consapevolezza del dramma che stiamo vivendo. Migliaia di persone che, sebbene indossando la mascherina, hanno creato loro malgrado occasioni di propagazione del contagio sono il segnale concreto che come popolo non abbiamo una coscienza collettiva, facendo prevalere il nostro interesse personale del momento al bene di tutti.

Le persone che hanno affollato i templi del consumismo, ma anche quelle che hanno soddisfatto un elementare bisogno di riallacciare rapporti umani, sono la fotografia inequivocabile di come non riusciamo a considerare, per quella che è, la contingenza che quotidianamente impone un pesante tributo di morti.
Se solo per un attimo ci fermassimo a riflettere sui rischi che i nostri comportamenti determinano, dovremmo tutti riconoscere le nostre colpe e rintanarci in casa, nella speranza di non esserci infettati o avere infettato solo per soddisfare un capriccio.

Qui non si tratta di misure rigorose per evitare il dilagare del contagio; qui non si tratta di reagire a mesi e mesi di privazioni della libertà personale alle quali ciascuno reagisce come crede; qui, infine, non si tratta di volere sentirsi vivi. No, qui è solo egoismo, è solo pensare che la libertà di uscire e rapportarsi con gli altri - nel momento in cui è permesso - garantisca una sorta di immunità.

Speriamo di sbagliarci, ma la sensazione è che ben resto le conseguenze della leggerezza con cui si stanno vivendo questi giorni non abbia a determinare un tempo in cui ci pentiremo delle nostre scelte. Tra mille incertezze, c'è forse una sola cosa di cui essere sicuri: come Paese abbiamo mostrato una immaturità che non pensavamo di avere ed alla quale ha certo contribuito un sentire generalizzato ed ingiustificato che ci ha portato a pensare che il peggio sia passato, complice anche una certa narrazione politica che predica, per il Natale, una liberalizzazione dei sentimenti, che è solo la speranza di raccogliere consenso.

Ma altri Paesi, che pure hanno situazioni oggettivamente meno gravi della nostra, stanno reagendo con determinazione, forse persino durezza, circoscrivendo i confini delle nostre tradizioni di questo periodo come barriera al contagio. Recriminare oggi è certo meglio che pentirsi domani.

In Germania, ad Angela Merkel è bastata un'ora per convincere i presidenti dei lander ad accettare le restrizioni da "zona rossa" decisi fino a gennaio. Un'ora, quando noi in Italia lo stesso lasso di tempo lo perdiamo per leggere le dichiarazioni a pioggia che inondano i media riportando le considerazioni di presidenti di Regione che, per non inimicarsi parte del loro elettorato, si lanciano in incomprensibili campagne di sostenere l'apertura di impianti o la cancellazione di restrizioni, quasi che i morti da Covid siano una semplice statistica e basta.

Una corsa a rivendicare la propria specificità che in molti casi appare fuor di luogo, quando non smaccatamente strumentale, per non dire altro. Gli appelli a comportamenti virtuosi sembrano cadere nel vuoto, in questo puntellati dalle parole di chi, per incarico istituzionale, dovrebbe essere il moderatore ed invece rinfocola le ribellioni. E' forse il momento che ci si renda conto che solo in Italia tra centro e periferia ci sono queste discrasie. Non parliamo della protesta dei singoli cittadini, ma delle rivolte verso Roma di cui si fanno vessilliferi coloro che, sul territorio, dovrebbero essere al più alto livello di rappresentanza politica locale e che, invece, rappresentano sé stessi ed il loro partito.
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