La Conferenza sul clima a Baku, la solita baracconata

- di: Bruno Chiavazzo (giornalista e scrittore)
 

La storia delle Cop (Conference of the parties), le conferenze sul clima dei paesi che hanno aderito alla Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, inizia nel 1992 a Rio de Janerio in Brasile, e da allora non mi pare che ci siano stati tanti cambiamenti né per quanto riguarda il clima, né per quelli che vi prendono parte. Più o meno la solita passerella di leader semi sconosciuti che dicono qualche banalità dal podio e poi se ne tornano nei loro paesi a fare quello che hanno sempre fatto: mantenere il potere ad ogni costo.

La Conferenza sul clima a Baku, la solita baracconata

A partire dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha aperto i lavori con queste parole: “La rivoluzione dell’energia pulita è qui. Nessun gruppo, nessun interesse, nessun governo la potrà fermare”, con un chiaro riferimento al convitato di pietra, il “negazionista” Donald Trump, che non se l’è filato di pezza.

Ma quest’anno a Baku la messa in scena ha raggiunto livelli da commedia: l’anfitrione della Conferenza, il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha aperto i lavori dichiarando che “il petrolio è un dono di Dio come il gas, il sole, il vento, l’oro e l’argento”. Tanto per la cronaca, l’Italia importa il 57% del petrolio e il 20% di gas dall’Azerbaigian. Seguito a ruota dal filoputiniano ungherese, Viktor Orban, che ha detto: “Va bene la transizione energetica, ma noi dobbiamo continuare a usare il petrolio, il gas e l’energia nucleare”.

Un “clima”, tanto per rimanere in tema, alquanto straniante e un po’ sinistro a Baku, dove accanto alle poltrone vuote dei Paesi più sviluppati, bacchettati dal dittatore bielorusso Lukashenko (da che pulpito!), si nota la presenza inquietante dei tre delegati talebani dell’Afghanistan, benché il loro governo non sia riconosciuto dall’Onu, tra questi il direttore generale dell’Ente afghano per il clima (sic!), che in classico “outfit” talebano (turbante e lunga barba bianca), invitato dal governo azero, ha affermato che “anche Kabul dovrebbe beneficiare dei fondi climatici internazionali destinati ai paesi più vulnerabili”.

Tra i pochissimi leader occidentali presenti anche la nostra Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in una toccata e fuga da Baku ha rilanciato la fusione nucleare in cui l’Italia, a suo giudizio, è all’avanguardia nella tecnologia che dovrebbe metterla in pratica (?). E poi, tanto per cambiare, ha chiuso il suo discorso con il solito appello ai sentimenti materni: “Sono una madre e come madre niente mi dà più soddisfazione di quando lavoro per politiche che consentiranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un posto migliore”. Detto questo, ha preso le sue cose e con un Jet presidenziale a kerosene è tornata a Roma, giusto in tempo per chiudere la campagna elettorale in Umbria, dove domenica si vota. E il clima? Alla prossima.

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