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Il mistero del Conclave nel cinema e in TV: uno specchio della nostra ossessione per il potere e la fede

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il mistero del Conclave nel cinema e in TV: uno specchio della nostra ossessione per il potere e la fede

C’è qualcosa di ossessivamente umano nella nostra attrazione per il Conclave. È il momento in cui un’istituzione millenaria, avvolta nel silenzio e nella ritualità, decide chi guiderà spiritualmente un miliardo e più di esseri umani.

Il mistero del Conclave nel cinema e in TV

Ed è per questo che il cinema, come solo il cinema sa fare, ha tentato in ogni modo di scardinare quella porta chiusa, di penetrare nell’indicibile, di raccontare l’irraccontabile. Non per rivelare chissà quale verità storica, ma per restituire un’emozione universale: la vertigine della scelta, il peso del potere, il dramma del dubbio.

“Habemus Papam” di Nanni Moretti (2011)
Michel Piccoli, nella parte di un cardinale che viene eletto Papa ma fugge, rifiuta, si smarrisce. Più che un film sul Conclave, è un film sulla fragilità umana, sulla paura della responsabilità. Moretti non dissacra, ma mette a nudo. Scompone l’istituzione con lo sguardo laico di chi vuole capire, non giudicare. È l’anti-spettacolo: l’elezione come smarrimento. Il bianco della papamobile si trasforma nel bianco dell’insonnia.

“The Two Popes” di Fernando Meirelles (2019)
Qui il Conclave è il fondale, il vero teatro è il dialogo. Anthony Hopkins è Benedetto XVI, Jonathan Pryce è Bergoglio. Due uomini che si confessano, che si sfiorano, che si combattono con dolcezza. Un’opera sulla fatica di credere, sull’arte della rinuncia, sull’umanità prima ancora che sul dogma. Non c’è dietrologia, ma introspezione. Non c’è dietro le quinte, ma uno specchio.

“Inside the Vatican” – BBC (2019)
Un documentario. Ma come tutti i grandi documentari, costruisce tensione. È l’osservazione minuta del potere: i corridoi, le udienze, le porte che si aprono e si chiudono. Senza fiction, ma con uno sguardo che è già racconto. Il Vaticano non è solo dottrina, è una macchina: logistica, simbolica, umana.

“Il Papa buono” di Ricky Tognazzi (2003)
C’è anche la televisione che ha cercato di raccontare il papato con reverenza, con tono pedagogico. Bob Hoskins interpreta Giovanni XXIII in una miniserie Rai che è insieme biografia e racconto di un’epoca. La scena dell’elezione è carica di pathos, ma soprattutto è l’occasione per dire che anche la Chiesa, a volte, sa cambiare.

“Amen.” di Costa-Gavras (2002)
Non c’è il Conclave, ma c’è il Vaticano. Ed è un Vaticano muto, reticente, paralizzato di fronte all’orrore. Costa-Gavras gira un atto d’accusa, ma anche una riflessione sulla responsabilità del silenzio. Sul non detto. Come il Conclave, anche il non prendere posizione è una scelta.

“Angeli e Demoni” di Ron Howard (2009)
Il blockbuster americano che prende la Cappella Sistina e ne fa un labirinto. Tom Hanks corre, i cardinali cadono, il Papa è un segreto. Tutto è eccesso. Ma il film, per quanto kitsch, capisce una cosa: il Conclave è il luogo perfetto per il thriller. Ogni porta chiusa fa paura. Ogni voto è una miccia. La fede può essere mistero, ma anche complotto.

“The New Pope” di Paolo Sorrentino (2020)
Il Papa come star, come visione. Jude Law come icona erotica, John Malkovich come trauma aristocratico. Il Conclave c’è, e viene raccontato con un’estetica che è tutta sorrentiniana: languida, barocca, astratta. Qui la Chiesa non è istituzione, ma allucinazione. Ma anche qui, il centro è il potere: chi lo prende, chi lo lascia, chi lo teme.

“Conclave” di Edward Berger (in arrivo su Sky e in sala)
Tratto dal romanzo di Robert Harris, è uno dei titoli più attesi dell’anno. Diretto da Edward Berger (già premiato per Niente di nuovo sul fronte occidentale), il film si svolge interamente dentro le mura della Cappella Sistina. Al centro, il cardinale Lomeli, interpretato da Ralph Fiennes, chiamato a vigilare sul processo di elezione mentre i segreti si infittiscono. Accanto a lui, Stanley Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini, in un cast internazionale che promette tensione, introspezione e dramma liturgico. Non un thriller politico, ma una riflessione sull’enigma della fede e sul peso del giudizio.

Perché ci affascina tanto il Conclave?
Perché è uno spazio vuoto dove accade tutto. Perché ci sono voti, ma non campagne elettorali. Perché ci sono poteri, ma non pubblicità. Perché dietro la fumata bianca c’è il mistero dell’umano. La tensione tra il sacro e il terreno, tra la volontà divina e le mani che scrivono nomi su schede. Il cinema, come la letteratura, tenta di entrare dove non si può entrare. Ma lo fa per ricordarci che anche nei luoghi più inaccessibili, si agitano le stesse domande che ci portiamo dentro tutti.

Perché il Conclave non è soltanto un evento ecclesiastico: è una rappresentazione. Una liturgia del potere che ci ricorda quanto la scelta, il segreto, l’attesa, il giudizio siano categorie eternamente umane. E in fondo, guardando questi film o queste serie, non cerchiamo davvero di capire come si elegge un Papa. Cerchiamo di comprendere – o almeno sentire – cosa accade quando la coscienza si misura col destino. Quando il silenzio si fa più eloquente di mille parole. Quando la Storia, con la S maiuscola, passa da una stanza chiusa a chiave, eppure abitata da tutti noi.

Tags: cinema, tv
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