Secondo l’Happy City Index 2025, la città più felice del mondo è ancora una volta Copenaghen. La capitale danese ha conquistato il vertice della classifica globale con un punteggio di 1.039 punti, superando altre 200 città analizzate in sei aree strategiche: governance, ambiente, economia, mobilità, salute e partecipazione civica. Il dato in sé è significativo, ma lo è ancora di più il modello urbano che la Danimarca rappresenta: un equilibrio tra efficienza amministrativa, sostenibilità, sicurezza e coesione sociale. In altre parole, la felicità è una conseguenza di scelte politiche, non un semplice dato culturale.
Le città più felici del mondo 2025: dove la qualità della vita è sistema e non privilegio
A premiare Copenaghen è soprattutto la capacità di coniugare la qualità dei servizi pubblici con un forte senso di comunità. Il sistema sanitario è universale ed efficiente, la mobilità è interamente sostenibile, il tasso di fiducia nelle istituzioni è elevato. Ma è l’equilibrio tra lavoro e vita privata – che in Danimarca è diventato criterio strutturale di valutazione pubblica – a fare la differenza. Non si tratta di retorica nordeuropea: la felicità urbana, misurata con 82 indicatori, è oggi un parametro che interessa pianificatori, investitori e governi locali.
L’Asia avanza, l’Europa resta il riferimento
La top ten del 2025 riflette un doppio asse: la continuità del modello europeo e la crescita delle metropoli asiatiche. Dopo Copenaghen, il secondo posto è occupato da Zurigo, seguita da Singapore. A seguire, troviamo Aarhus (ancora Danimarca), Anversa, Seul, Stoccolma, Taipei, Monaco di Baviera e Rotterdam. È un’Europa centro-settentrionale quella che domina il quadro, con città capaci di offrire non solo servizi, ma un tessuto urbano ad alta densità di relazioni e sicurezza sociale.
Singapore e Taipei, invece, segnano la crescente centralità dell’Asia orientale nella progettazione del benessere urbano. In questi contesti, l’efficienza amministrativa e tecnologica si unisce a un investimento mirato sulla qualità della vita urbana. Meno visibile rispetto ai modelli occidentali, ma in rapida ascesa, soprattutto tra le generazioni più giovani che scelgono queste città per vivere e lavorare.
Milano resiste, le altre italiane arrancano
L’Italia si affaccia alla classifica con una sola “Gold City”: Milano, che si posiziona al 25° posto, grazie a risultati solidi su innovazione, mobilità pubblica e sanità. È un riconoscimento importante per la capitale economica del Paese, che negli ultimi anni ha cercato di internazionalizzarsi senza perdere la propria identità urbana. Ma il divario con il resto della penisola è ancora ampio.
Torino, Firenze e Bologna si fermano più in basso, rispettivamente al 38°, 60° e 67° posto, nella fascia “Silver”. Sono città che mostrano segni di resilienza, ma pagano la frammentazione amministrativa, la carenza di investimenti strutturali e una scarsa visibilità nelle politiche globali del benessere. La sfida italiana, più che scalare la classifica, resta quella di colmare i vuoti tra centro e periferia, tra metropoli e province, tra Nord e Sud.
Benessere mentale e futuro urbano
L’edizione 2025 introduce una novità significativa: l’inclusione esplicita del benessere mentale tra i criteri di valutazione. Un indicatore che fotografa lo stato emotivo e psicologico delle popolazioni urbane, e che in molte città ha assunto un peso maggiore dopo gli anni della pandemia. La salute mentale, oggi, è considerata elemento strutturale nella valutazione della qualità della vita.
Il successo di alcune città, come Seul e Stoccolma, è legato proprio alla loro capacità di intervenire sul benessere individuale, attraverso spazi verdi, riduzione del rumore, politiche anti-isolamento e accesso universale ai servizi psicologici. In questo senso, l’Happy City Index non è solo una classifica: è una radiografia aggiornata delle priorità urbane del XXI secolo.
La felicità urbana come nuovo paradigma politico
La lezione che arriva da Copenaghen e dalle altre capitali della felicità è chiara: la qualità della vita non è una questione privata, ma un fatto pubblico. Non si costruisce con la retorica, ma con investimenti, pianificazione, accesso universale ai diritti e capacità di visione. E se la felicità urbana è oggi al centro delle agende internazionali, lo è perché rappresenta una misura concreta della tenuta democratica e della coesione sociale.
In un mondo attraversato da crisi, guerre e disuguaglianze, sapere che esistono luoghi dove vivere bene è ancora possibile non è evasione, ma resistenza civile. E soprattutto, è un progetto politico.