La Cina inonda i Paesi poveri di finanziamenti, tenendo le redini del loro debito

- di: Redazione
 
I percorsi della politica internazionale si muovono seguendo direttrici che spesso, per chi non un esperto della materia, sono quasi oscure perché pongono interrogativi che sovente rimangono senza risposta, sino a quando le sue conseguenze non deflagrano nella loro evidenza. La politica delle cannoniere - con cui le grandi potenze imponevano la loro leadership solo mostrando la loro forza militare - ha lasciato da tempo lo scenario internazionale, limitandosi all'estremo Oriente, tra lanci di razzi e minacce per ribadire il proprio interesse strategico su arcipelaghi spesso simili ad un pugno di isolotti.
E poi ci sono altre strade, più elaborate, di cui ci si serve per legare a sé le sorti di Paesi che magari cercano di dimenticare un passato da colonie per affermare la propria ''esistenza'' e che, per questo, hanno bisogno di essere aiutati con ingenti flussi di denaro, apparentemente erogati per magnanimità, ma che nella sostanza sono una rete che avviluppa, rendendo schiavi e non solo debitori.
Un esempio di questa politica arriva dalla Cina, i cui finanziamenti verso i cosiddetti Paesi in via di sviluppo hanno raggiunto livelli record. Al punto tale che da soli superano quelli erogati dall'insieme dei Paesi più ricchi.

I finanziamenti della Cina verso i Paesi in via di sviluppo raggiungono livelli record

I numeri parlano da soli e hanno una interpretazione univoca. Negli ultimi vent'anni Pechino ha erogato - sotto forma di sovvenzioni e, soprattutto, prestiti - 843 miliardi di dollari (circa 722 miliardi di euro) a 163 Paesi a basso e medio reddito. Se può aiutare a comprendere la portata di queste operazioni basta forse ricordare che l'ammontare dei finanziamenti cinesi (rapportato tutto al valore delle monete di oggi) sono sei volte la dotazione di bilancio del Piano Marshall, l'immenso programmi di aiuti destinato alla ricostruzione dell'Europa, in macerie dopo la seconda guerra mondiale. Quindi ogni anno la Cina indirizza verso altri Paesi 85 miliardi di dollari, quando l'ammontare dei finanziamenti dei Paesi ''ricchi'' è di circa la metà.

Questi dati, che danno il riscontro solo finanziario di quello che fa la Cina, sono contenuti in un rapporto dell'Università americana William & Mary (che ha la sua sede in Virginia), che consente di avere un'idea della portata dell'espansionismo cinese e della situazione di dipendenza in cui si trovano i Paesi in via di sviluppo.
Il rapporto è frutto di un enorme lavoro di selezione ed analisi (91 mila documenti ufficiali; 13.427 progetti finanziati dalla Cina) portato avanti da un centinaio di ricercatori di diversi Paesi. La Cina , contrariamente a quanto fanno i Paesi ricchi, non finanzia le economie in via di sviluppo con sovvenzioni e prestiti a tassi ridotti. Dal 2013, quando è stato dato il via alle nuove ''vie della seta'', i prestiti commerciali in arrivo da Pechino sono stati la maggioranza, indirizzati a finanziare grandi opere infrastrutturali, il cui numero in pochi anni si è triplicato.

E questo ha generato delle polemiche, nel senso - come è accaduto nelle Maldive e nello Sri Lanka - che i fondi cinesi stati accusati di favorire il potere dominante, per alimentare la corruzione e aumentare il debito.
Secondo quanto si legge nel rapporto, i tassi di interesse praticati sono talvolta alti perché la Cina "presta in modo sproporzionato ai Paesi con una solvibilità fragile''. La Cina ha raramente preso il controllo delle infrastrutture promesse come porti o terra, ma certamente raccoglie guadagni geopolitici. Come conferma il caso del porto di Hambantota, nello Sri Lanka. L' infrastruttura, strategica per il traffico marittimo nell'Oceano Indiano, è stata affidata nel 2019 a una compagnia cinese per 99 anni, a seguito dell'incapacità di Colombo di onorare il proprio debito.

Un altro caso che deve fare riflettere è quello dello Zambia. Pochi giorni dopo aver vinto le elezioni presidenziali, il 12 agosto 2021, Hakainde Hichilema ha scoperto un "buco più grande del previsto" nelle finanze del Paese. Un "buco" del debito che ha inghiottito quasi il 40% delle entrate fiscali, fino a quando lo Zambia non si è dichiarato inadempiente nell'autunno del 2020. Il nuovo presidente, eletto ad agosto in un contesto di rabbia sociale e aumento dei prezzi salariali, ha ora la delicata missione di rinegoziare il debito estero, di cui un terzo sarebbe detenuto dalla Cina.

A rendere complessa l'opera di Hichilema c'è anche la difficoltà ad individuare tutti i debiti, perché, come accaduto, un ministero può aver preso in prestito denaro da un creditore cinese senza avvisare nessuno nel governo. Secondo William & Mary University, il debito nascosto dello Zambia nei confronti della Cina rappresenta da solo l'8% del suo PIL.
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