Centro Studi Confindustria: 2024 a bassa crescita, Pil a +0,5. Pesano alti tassi e debole commercio internazionale

- di: Barbara Leone
 
L’andamento del Pil italiano nel 2023 si profila in forte rallentamento rispetto al 2022, quando era cresciuto del +3,7%: nello scenario base, che non include gli effetti delle misure contenute del Ddl Bilancio, il Centro Studi Confindustria prevede un incremento annuo del +0,7%, già interamente acquisito. La crescita nel 2024 è prevista al +0,5%. (stima di marzo 1,2%). Il rallentamento è dovuto all’effetto negativo dei tassi di interesse elevati sulle imprese e sulle famiglie, e a una dinamica negativa, nell’anno in corso, del commercio internazionale. Nel 2022 la dinamica dell’attività industriale delle imprese italiane era aumentata di +0,4%, mostrando segnali di indebolimento nella seconda metà dell’anno. Nel biennio di previsione, la produzione è attesa diminuire di -2,3% quest’anno e rimbalzare molto parzialmente, di +0,8%, nel 2024. A soffrire sono principalmente i cosiddetti settori energy intensive (come carta, chimica, metalli non metalliferi e metallurgia), e quelli che rientrano nella filiera delle costruzioni (legno, prodotti in metallo, ma anche alcuni dei già citati energivori). I livelli produttivi di questi settori si collocano ormai tutti sotto i valori medi del 2019.

Centro Studi Confindustria: 2024 a bassa crescita, Pil a +0,5

La contrazione di tali settori, oltre che nel 2022, è proseguita anche nella prima parte di quest’anno: in media a gennaio -agosto, rispetto allo stesso periodo del 2022, la chimica è in calo di -9,7%, la carta di -11,6%, la metallurgia di -7,1% e i minerali non metalliferi di -10,0%. Emerge, al contrario, una maggiore dinamicità per i comparti ad alta tecnologia come, ad esempio, la farmaceutica e le attività di computer ed elettronica e delle apparecchiature elettriche. La spesa delle famiglie è attesa rimanere quasi ferma nella seconda metà del 2023. Ciò comporterà una crescita in media d’anno pari al valore già acquisito di +1,2%. I consumi delle famiglie torneranno ad aumentare nel 2024, con più slancio nella seconda metà dell’anno, sulla scia della discesa dell’inflazione e, quindi, del recupero del potere d’acquisto, oltre che sospinti da un miglioramento delle condizioni economiche e da una dinamica salariale più sostenuta, e registreranno in media d’anno una crescita di +0,6%.

Gli investimenti fissi lordi sono attesi crescere moderatamente nel 2023 (+0,5%), al di sotto dell’acquisito al 2° trimestre (+0,8%). La dinamica è attesa in ulteriore peggioramento nel 2024: -0,1% la stima del CSC, in forte ridimensionamento rispetto agli anni scorsi (crescevano del 9,7% nel 2022 e invece saranno fermi nel 2024), per effetto soprattutto di una perdurante intonazione restrittiva della politica monetaria, che sta avendo un impatto più profondo dell’atteso e continuerà ad averlo per un periodo più lungo, e anche del minor ammontare di investimenti realizzati con il Pnrr rispetto a quanto programmato nel Def di aprile scorso. In prospettiva, i segnali provenienti dai dati qualitativi più recenti prefigurano un ulteriore calo degli investimenti nel breve termine. Il sentiment delle imprese si è affievolito, con l’indice di fiducia che è diminuito nel 3° trimestre a 106,8 da 108,9. Al rialzo, agirà sugli investimenti l’utilizzo delle risorse del Pnrr e il recupero dei profitti, documentato almeno fino al 2° trimestre 2023: in questo scenario di previsione si assume un utilizzo solo parziale delle risorse Pnrr rispetto a quanto programmato per il 2023 e 2024 nel Def di aprile scorso e quindi la spinta agli investimenti per quanto cospicua, sarà nettamente inferiore nel biennio rispetto a quanto stimato avendo come base le risorse programmate nel Def 2023. Per quanto riguarda l’effetto sulla crescita, il Centro Studi Confindustria stima che con un Pnrr pienamente attuato, il Pil italiano nel 2026 (cumulato in 6 anni, dal 2021) sarebbe più elevato del +2,8% e gli investimenti più elevati dell’11,1%.

Nello scenario delineato dal Centro Studi Confindustria le esportazioni italiane di beni e servizi, dopo un’espansione quasi in doppia cifra nel 2022 (+9,9%), registrano una battuta d’arresto nel 2023 (+0,8%) e accelerano gradualmente nel 2024 (+2,3%), sotto ai ritmi medi di crescita del periodo pre-pandemia (+2,5% nel 2012-2019) ma in linea con il commercio mondiale. Come già nel 2022, l’input di lavoro, misurato in termini di unità equivalenti a tempo pieno (Ula), avanzerà nel biennio 2023-2024 a un ritmo complessivamente allineato a quello dei livelli di attività economica, seppur un po’ sopra quest’anno (+1,1% le Ula rispetto allo 0,7% del Pil) e lievemente sotto l’anno prossimo (+0,2% contro +0,5%). Il Clup manifatturiero in Italia è cresciuto del +4,8% nel 2022, più che in altre economie europee (+3,7% nell’industria tedesca, +2,5% in media nell’Area euro). A fronte di una dinamica più contenuta del costo del lavoro per ora lavorata (+2,9% contro il +4,2% in Germania e il +3,9% medio nell’Area), la competitività dell’industria italiana è stata penalizzata da un ampio calo della produttività (-1,8%). Tra gli altri grandi paesi dell’Eurozona, la produttività del lavoro è calata nel 2022 solo in Francia, mentre è cresciuta in media del +1,4% (+0,6% in Germania). Nel biennio 2023-2024, il rafforzamento della dinamica salariale nel settore privato, che sta avvenendo con ritardo rispetto alla dinamica inflattiva, per effetto del meccanismo di aggiustamento delle retribuzioni contrattuali, spingerà al rialzo il Clup nel manifatturiero italiano, dato anche il forte calo della produttività del lavoro previsto per quest’anno (già acquisito nel 1° semestre, per l’ampio labor hoarding effettuato dalle imprese) e un solo marginale recupero il prossimo.

La dinamica dei prezzi al consumo in Italia sta proseguendo in graduale rallentamento da dicembre 2022, scendendo al +5,3% annuo a settembre 2023. Un valore ancora alto rispetto all’obiettivo Bce del 2,0% (Grafico 18), ma decisamente più favorevole rispetto ai record toccati nel 2022 (+11,8% a ottobre e novembre). La variazione acquisita per la media del 2023 è pari al +5,7%. Nello scenario CSC, che incorpora un prezzo del gas in moderato aumento rispetto ai minimi di luglio, l’inflazione continuerà a frenare (soprattutto nei mesi finali del 2023, grazie a un favorevole “effetto base”), tornando in linea con l’obiettivo del +2,0% a fine anno. In media, si attesterà al +5,8% (da +8,1% nel 2022), con una revisione al ribasso di -0,5 punti rispetto allo scenario del Centro Studi Confidustria di marzo. Nel 2024, terminata ormai la lunga frenata, l’inflazione è attesa rimanere intorno ai valori di fine 2023, assestandosi al +2,1% in media.

I prestiti bancari alle imprese in Italia si stanno rapidamente riducendo (-6,2% annuo ad agosto 2023), dopo aver toccato alti ritmi di crescita fino a metà del 2022 (picco a +4,8% in agosto). Un mutamento brusco, come raramente osservato nelle serie storiche del credito, dovuto soprattutto al rapido rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Bce in tale periodo. Nel 2023 la liquidità delle imprese, misurata dal valore dei depositi in banca, si è assottigliata rapidamente (-5,6% annuo in agosto), tornando sul trend pre-pandemia. L’indicatore Istat della liquidità disponibile in azienda, rispetto alle esigenze operative, ha tenuto finora, poco sotto i valori pre-pandemia, ma solo perché si è ridotto il fabbisogno di risorse liquide. La situazione nei prossimi mesi potrebbe presto trasformarsi in carenza di liquidità, se il credito continua a ridursi. Le aziende che hanno più esigenza di credito per liquidità sono le produttrici di beni di consumo. Nello scenario “a legislazione vigente” l’indebitamento netto della pubblica amministrazione è previsto scendere al 5,3% del PIL nel 2023 dall’8,0% dello scorso anno e al 3,8% nel 2024, sostanzialmente in linea con quanto indicato nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NaDef) presentata dal Governo a fine settembre (5,2%). Il debito pubblico in rapporto al PIL è stimato al 140,1% nel 2023, in calo di 1,5 punti rispetto al 2022, su valori simili a quelli stimati dal Governo. Per l’anno prossimo, è previsto risalire di oltre 0,4 punti fino al 140,6% del Pil anziché calare al 139,7% come indicato nel quadro tendenziale della NaDef 2023.

Nell’attuale contesto, lo scenario previsivo presenta in prevalenza rischi al ribasso, ma anche qualcuno al rialzo. Un nuovo tragico capitolo del conflitto israelo-palestinese si è aperto proprio nei giorni di stesura di questo rapporto. Un prolungarsi della guerra e un eventuale ampliamento dei paesi coinvolti potrebbero accrescere ulteriormente la frammentazione geopolitica, con effetti negativi sul commercio internazionale; spingere verso un nuovo aumento del prezzo del petrolio e di altre commodity energetiche. La dinamica dei prezzi al consumo in Italia e in Europa ha intrapreso un percorso di graduale normalizzazione. Il processo in essere potrebbe richiedere un tempo minore del previsto, spingendo le Banche centrali ad accelerare la discesa dei tassi di interesse e anticipando così gli effetti positivi dell’allentamento della politica monetaria. Le banche centrali sono attese avviare nei prossimi trimestri un percorso, non coordinato, di riduzione dei tassi. Tuttavia, se la Fed decidesse ulteriori rialzi, per abbattere ancor più l’inflazione la Bce potrebbe seguirla per evitare ripercussioni sul cambio che altrimenti spingerebbero in alto i prezzi in euro di petrolio e altre commodity importate. Ciò avrebbe un impatto restrittivo addizionale nell’Eurozona e in Italia. La piena efficacia del Pnrr è condizionata al rispetto dei tempi previsti e all’attuazione delle riforme in programma. Il venir meno di uno di questi elementi implicherebbe un minor contributo alla crescita. L’ipotesi prudenziale sottostante questo scenario è che nel biennio 2023-2024 si avrà un utilizzo solo parziale delle risorse che erano state programmate nel Def di aprile scorso. Un ulteriore rischio riguarda la dinamica dell’economia cinese, che nello scenario di previsione si ipotizza crescere quest’anno e il prossimo secondo gli obiettivi fissati dal Governo (+5% nel 2023 e +4,5% nel 2024). Una frenata potrebbe indurre una battuta d’arresto a livello internazionale: un punto in meno di crescita, ridurrebbe di circa due decimi il PIL mondiale.

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