Il caldo come il Covid? Sorridiamo per non piangere

- di: Redazione
 
Anche - forse, soprattutto - chi ha cariche o incarichi di responsabilità dovrebbe adeguarsi alla regola aurea (che era tale perché, magari accompagnandola con qualche salutare scappellotto, ci veniva dal combinato composto papà/mamma/nonno-nonna) di contare fino a dieci prima di parlare. 
Un comandamento che, seppure non veniva dall'Eterno e non era scritto su lastre di pietra, si cercava di rispettare, anche perché, alla prima trasgressione, il meno che ti potessi aspettare era di finire chiuso in camera, senza televisione. 
Oggi non è così e, se questo è comprensibile per i ragazzini, ammaestrati ad essere aggressivi dai messaggi che arrivano da ogni parte, lo è molto meno per persone che detengono posizioni in cui l'essere responsabili è una necessità. 
La proposta del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, sulla necessità di equiparare l'ondata di caldo che si registra in queste settimane ad una emergenza sanitaria come il Covid, prevedendo quindi misure amministrative e quindi economiche straordinarie così da consentire alle aziende di affrontarla, più che essere ragionevole è sembrata una buona occasione persa di parlare invece di migliori condizioni di lavoro, in generale, e non invece di una misura spot, per come appare nella realtà.

Il caldo come il Covid? Sorridiamo per non piangere

Più di mille ragionamenti potrebbero bastare le parole del direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, il prof. Francesco Vaia: ''Non usiamo parole grosse: il Covid è un'altra cosa''. 
Come a dire, non possiamo paragonare una situazione emergenziale legata all'insorgere di eventi legati alla Sanità a un'altra, sebbene importante, ma esclusivamente climatica e, quindi, per definizione non destinata a protrarsi nel tempo per il semplice motivo che, al di là dei mutamenti climatici, per fortuna le stagioni ancora si susseguono. 
Bonomi, auspicando l'elaborazione, con i sindacati, di un protocollo per trovare ''soluzioni straordinarie che possano coprire tutta la platea dei lavoratori'', sembra avere voluto fare la classica fuga in avanti, quella che vuole cercare di accaparrarsi, pur senza averne la necessaria preparazione ''logistica'',  posizioni migliori (in questo caso in un eventuale dibattito sulla sua proposta in un più ampio confronto con le controparti, siano esse governative che sindacali). 
Ma non bastano solo le reazioni non in linea con la proposta di Bonomi (scettiche da parte dei sindacati; quasi infastidite dal mondo sanitario; inesistenti da parte dei politici, che hanno altro di cui occuparsi) a fare capire come essa sia stata formulata non considerando che, per evitare che la gente muoia per il caldo, non ci vogliono equiparazioni con fenomeni pandemici, ma migliori condizioni di lavoro. 
Una politica diversa, con l'adozione di prescrizioni che tengano conto non della temperatura esterna, ma di come i singoli individui esplichino, quotidianamente, la loro funzione di lavoratori. Volendo riassumere tutto in un concetto, parliamo di dignità dell'uomo e della donna che lavorano, che deve essere rispettata sempre, non solo quando c'è molto caldo.
Perché assimilare il caldo al Covid (ma soprattutto alle misure pratiche che furono adottate nel periodo di maggiore incidenza del contagio) è quasi categorizzare i lavoratori, apportando necessariamente delle distinzioni, la cui definizione sarebbe, di per sé, fonte di polemiche. Perché è bello parlare di lavoro agile, di lavoro a distanza, ma sono misure che non varrebbero per tutti, limitandosi ad una porzione ben definita, da cui resterebbero necessariamente esclusi coloro che proprio non possono restarsene a casa, davanti ad un pc.

Viene solo da sorridere pensando che la platea dei soggetti interessati sarebbe residuale rispetto ad una maggioranza composta da chi, proprio in questo periodo, non può certo defilarsi dal lavoro, come chi è impegnato in agricoltura, per il quale è possibile pensare ad una sospensione dell'attività nelle ore più calde, ma non altro. E' quindi comprensibile che, davanti ad evidenze (picchi di temperature elevatissime) si possa pensare di sospendere temporaneamente il lavoro, ma solo per un brevissimo periodo di tempo, forse anche solo delle ore, senza per questo prevedere il varo di misure straordinarie e che inciderebbero anche sul quadro economico delle aziende.
Anche perché restano molti dubbi sui meccanismi che dovrebbero presiedere alle nuove regole: cosa le farebbe scattare? Il superare una soglia in termini di temperatura? Inserire, nei parametri, anche il tasso di umidità e la presenza di un vento caldo, come il mitico scirocco, che quando imperversa rende difficile anche respirare?
Insomma, chi e quando decide cosa e su che basi scientifiche?
A meno che la proposta di Bonomi si riduca ad un ennesimo tentativo di battere cassa, ad una voglia di ''monetizzare'' un evento straordinario che, ribadiamo, premierebbe solo una porzione della forza lavoro, con necessarie eccezioni.
Citiamo a caso, oltre a chi è impegnato in agricoltura, anche gli operatori della sicurezza, a quelli dei cantieri pubblici (che non si possono fermare per rispetto degli utenti e della tabella di marcia) e privati (che hanno scadenze da rispettare). E potremmo ancora continuare.
Ci fermiamo per la classica carità di patria, sperando che, nel rispetto di tutte le proposte vogliono essere costruttive, che siano di buon senso e non inseguano una effimera visibilità.
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