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Brown University paga 50 milioni per l’accordo con Trump, ma difende l’autonomia accademica

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Brown University paga 50 milioni per l’accordo con Trump, ma difende l’autonomia accademica

Cinquanta milioni di dollari. È questa la cifra che la Brown University ha accettato di versare nell’ambito di un accordo con l’amministrazione Trump per porre fine a una disputa che rischiava di compromettere il futuro della ricerca accademica. La somma, diluita in dieci anni, sarà destinata ai programmi statali per lo sviluppo della forza lavoro. Una scelta sofferta, arrivata al termine di mesi di tensione, che consente all’università di riottenere i 510 milioni di dollari di finanziamenti federali congelati dalla Casa Bianca lo scorso aprile.

Brown University paga 50 milioni per l’accordo con Trump, ma difende l’autonomia accademica

Il cuore dell’intesa non sta solo nella cifra, ma nelle condizioni. L’accordo prevede infatti una clausola esplicita: nessun vincolo potrà essere imposto al curriculum accademico, né al contenuto del dibattito intellettuale dentro l’università. In altre parole, i fondi vengono sbloccati, ma la libertà di insegnamento rimane intoccabile. Un punto che la rettrice Christina H. Paxson ha rivendicato con decisione in una lettera aperta indirizzata alla comunità universitaria: “Questo accordo – ha scritto – preserva l’integrità del fondamento accademico di Brown e ci permette di andare avanti dopo un periodo di notevole incertezza”.

Un braccio di ferro politico
La vicenda affonda le sue radici nello scontro esploso la scorsa primavera, quando l’amministrazione Trump aveva deciso di congelare i fondi destinati a Brown. Una misura che non nasceva da conti finanziari, ma da una scelta politica precisa: punire gli atenei diventati epicentro delle proteste pro-Gaza. Manifestazioni, sit-in, occupazioni pacifiche. Scene che avevano attraversato decine di campus americani e che, per la Casa Bianca, costituivano una minaccia all’ordine pubblico.

Il precedente di altri atenei

Quella della Brown non è un’eccezione isolata. Già in passato, la Pennsylvania University e la Columbia University avevano dovuto negoziare accordi simili con il governo federale. Ora la partita più delicata si gioca con Harvard, ancora in fase di trattativa. In questo quadro, la Brown si inserisce come terzo tassello di una strategia che appare ormai chiara: il governo federale usa i fondi come leva per piegare gli atenei, gli atenei rispondono difendendo la loro autonomia ma accettando di contribuire finanziariamente a programmi statali.

Un Paese diviso
La decisione ha immediatamente spaccato l’opinione pubblica americana. Per alcuni critici, la Brown si è piegata a un ricatto politico, cedendo pur di sbloccare i finanziamenti. “Un compromesso che rischia di legittimare l’interferenza del potere politico nell’università”, denunciano associazioni studentesche e gruppi per i diritti civili. Altri, invece, leggono nell’accordo un segnale di resilienza: Brown ha garantito la continuità della ricerca senza cedere su ciò che conta davvero, la libertà accademica.

La voce dei docenti e degli studenti
Nelle aule di Providence il dibattito è acceso. Molti professori hanno espresso sollievo: senza quei fondi, interi laboratori di ricerca rischiavano di chiudere. Ma non mancano i timori. “Accettare di pagare 50 milioni significa comunque riconoscere che il governo può dettare le condizioni”, spiega un docente di Scienze politiche. Gli studenti, dal canto loro, oscillano tra pragmatismo e protesta: “Meglio un accordo che lascia lavorare i ricercatori, ma non dimentichiamo che questa vicenda nasce dalla repressione delle voci critiche su Gaza”, osserva un rappresentante delle associazioni studentesche.

Un precedente pericoloso
Il caso della Brown University rischia dunque di diventare un precedente pericoloso o, al contrario, un modello di resistenza. Dipenderà da come verrà interpretato nei prossimi mesi. Se prevarrà la logica del compromesso economico, la politica avrà trovato un nuovo strumento per condizionare il mondo accademico. Se invece sarà la clausola sull’autonomia a restare al centro, Brown potrà rivendicare di aver difeso un principio senza cedere ai diktat.

La posta in gioco: libertà e conoscenza

Al di là delle cifre, resta una questione di fondo: fino a che punto un’università è disposta a trattare con il potere politico pur di garantire la continuità della propria missione? L’accordo con l’amministrazione Trump solleva domande che vanno oltre i confini del campus di Providence. Tocca il cuore del rapporto tra scienza, sapere e politica. E mette in evidenza come, in America, la battaglia per Gaza e i suoi riflessi non si combattano solo in Medio Oriente, ma anche dentro le mura delle università.

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