L’Australia vieta i social media ai minori di 16 anni: una svolta globale?

- di: Barbara Leone
 
Dopo mesi di dibattiti accesi, ieri l’Australia ha approvato una legge pionieristica che vieta l’uso dei social media ai minori di 16 anni, imponendo multe salate alle piattaforme che non si adeguano. Il provvedimento, approvato con una larga maggioranza dal Senato e destinato a passare definitivamente alla Camera, entrerà in vigore tra un anno. Si tratta di una prima assoluta a livello mondiale, osservata con attenzione da altri Paesi che stanno valutando misure analoghe per affrontare i rischi legati ai social media per gli adolescenti. La decisione australiana si basa su una crescente evidenza scientifica che collega l’uso dei social media a problemi psicologici, bullismo e dipendenza tra i più giovani.

L’Australia vieta i social media ai minori di 16 anni: una svolta globale?

“Vogliamo che i genitori siano tranquilli,” ha dichiarato il premier Anthony Albanese. “È dimostrato che i social possono causare danni agli adolescenti e devono essere protetti.” I primi sondaggi indicano un sostegno maggioritario al bando da parte della popolazione australiana, sebbene non manchino critiche. Molti sottolineano che sarà difficile far rispettare il divieto e che i metodi di verifica dell’età, come esami biometrici e prove di identificazione, potrebbero risultare troppo invasivi per la privacy. La normativa prevede multe fino a 50 milioni di dollari australiani (circa 30 milioni di euro) per le piattaforme che consentiranno ai minori di 16 anni di accedere ai social vietati. Il governo chiarirà nei prossimi mesi quali piattaforme saranno interessate, con TikTok, Instagram, Facebook e X (ex-Twitter) tra i principali candidati. Restano invece esclusi i servizi di messaggistica come WhatsApp, i siti di video come YouTube e i videogiochi online. Inoltre, non sono previste eccezioni per chi è già iscritto o per chi ottiene l’autorizzazione dei genitori, una rigidità che alimenta ulteriori dibattiti.

La legge non è priva di oppositori. Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha definito il provvedimento “inefficace” e ha messo in dubbio la sua capacità di rendere internet più sicuro. Google, dal canto suo, ha criticato la mancanza di dettagli operativi. Alcuni temono che il divieto spinga i giovani verso piattaforme meno conosciute e potenzialmente più pericolose, aumentando i rischi invece di ridurli. Inoltre, organizzazioni giovanili hanno lamentato di non essere state coinvolte nel processo decisionale, mentre esperti legali segnalano che la misura potrebbe incontrare difficoltà pratiche e costituzionali, come già accaduto negli Stati Uniti. La legge australiana potrebbe segnare l’inizio di un cambiamento globale.

La Norvegia ha già dichiarato di voler seguire l’esempio, mentre il Regno Unito sta valutando un provvedimento simile, pur non avendo preso decisioni immediate. Tuttavia, il contesto internazionale mostra sfide significative. In Francia, una legge che vieta i social ai minori di 15 anni senza il consenso dei genitori è stata aggirata da molti utenti tramite reti VPN. Negli Stati Uniti, un provvedimento analogo approvato nello Utah è stato giudicato incostituzionale dalla Corte Suprema. Sicuramente, la decisione australiana rappresenta un esperimento unico per regolamentare l’accesso ai social media, cercando di tutelare gli adolescenti senza però penalizzarli direttamente. Resta da vedere se il modello sarà replicabile su scala globale o se si rivelerà inefficace, evidenziando la complessità di bilanciare protezione dei minori, diritti digitali e praticabilità normativa.
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