Survey Unem su impatti crisi del Mar Rosso

 
A distanza di alcuni mesi dai primi attacchi Houthi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, UNEM ha condotto una Survey tra gli Associati per analizzare le criticità della situazione rispetto alla normale attività operativa e valutare le contromisure adottate.

Dalla Survey, conclusa alla fine di aprile, è emerso che circa il 78% degli intervistati ha affermato di avere subito delle conseguenze da una crisi tuttora in corso, seppure in modi e misure diversi.

Da un punto di vista operativo, il 58% ha denunciato di avere incontrato difficoltà nel reperire le materie prime necessarie – principalmente petrolio greggio (45%) e in piccola parte gasolio e altri semilavorati o feedstock (10%) – mentre il 42% ha rilevato un allungamento nei tempi di consegna.
Quanto all’impatto economico, l’86% ha dichiarato di avere subito aumenti dei costi di approvvigionamento, dovuti in primo luogo alla crescita dei noli, che ha colpito in particolare l’area del Mediterraneo, in una misura compresa tra il 10 e il 20% nel 45% dei casi, superiori al 20% nel 22% dei casi. L’impatto economico, secondo le stime UNEM, può essere valutato in circa 2 dollari/barile, ovvero di intorno ai 2 centesimi di euro al litro.

Per fronteggiare le difficoltà, il 45% degli intervistati ha modificato la localizzazione dei fornitori, privilegiando Stati Uniti, Africa e Nord Europa e più in generale rotte che non richiedono né il passaggio dal Mar Rosso e tanto meno la circumnavigazione dell’Africa.

Un ultimo elemento di rilievo che emerge dalla Survey, è che l’89% degli intervistati si è detto di non essere preoccupato per eventuali interruzioni nei flussi di approvvigionamento.

In sintesi, si può dire che a risentire meno se non per nulla della crisi sono stati rivenditori e operatori della logistica, più colpiti invece raffinatori e/o importatori di prodotti finiti. Tutto ciò conferma che il mercato petrolifero è ormai estremamente diversificato e, come avvenuto nella crisi ucraina, con il divieto di importazioni di greggi e semilavorati russi, la nostra industria ha sviluppato una elevata flessibilità per orientare gli acquisti verso rotte meno critiche seppure a fronte di un aumento dei costi del prodotto finale.

Ovviamente, appare opportuno continuare a sensibilizzare le Istituzioni sulle conseguenze economiche che potrebbero derivare dal perdurare di una tale situazione e da una eventuale escalation nel conflitto.
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