Casa Savoia: quando la realtà supera la fantasia

- di: Barbara Leone
 
“Buongiorno, sono l’erede del Regno d’Italia e questa è casa mia”
 
“Se ghé?”

“Sono il figlio del Re!”


Pare la scena di un film, un mix tra l’esilarante “Noio volevan savoir l’indiriss” di “Totò, Peppino e la… malafemmina” e la memorabile sequenza della vendita della Fontana di Trevi in “Totòtruffa 62”. Sembra lo sketch di un varietà, e  invece è successo davvero. Qualche giorno fa, infatti, all’ingresso del Palazzo Reale di Milano si è presentato un trentasettenne australiano che, bagagli alla mano, sosteneva di essere il legittimo erede della famiglia di Casa Savoia. Nell’incredulità generale, il baldo giovine rivendicava addirittura la proprietà del Palazzo. E ha talmente insistito, che alla fine si è reso necessario l’intervento della forza pubblica. Perché lui era proprio convinto, e si rifiutava categoricamente di allontanarsi da quella che riteneva essere la sua legittima dimora mostrando finanche i documenti che sosteneva di aver spedito alle autorità italiane. Alla fine una decina di agenti l’hanno portato via. La scena tragicomica ha suscitato, ovviamente, parecchia ilarità. Del resto i Savoia, the originals, sono da sempre avvezzi a grotteschi scivoloni. Non stupisce, dunque, che pure il tarocco abbia seguito lo stesso strampalato binario.

Un australiano a Palazzo Reale: "Io erede dei Savoia, è casa mia"

L’ultima gigantesca, imbarazzante figura barbina dei rampolli di Casa Savoia riguarda i famosi gioielli custoditi nei caveau della Banca d’Italia dal 5 giugno del 1946. Gioielli, peraltro, consegnati allo Stato dallo stesso Re Umberto II prima di lasciare l’Italia. Ebbene per anni ed anni i realissimi hanno frantumato gli zebedei dicendo che guai a pensare che loro li volessero indietro, che erano tutte fandonie per diffamare la loro elevatissima e candidissima integrità morale. Erano gli anni, per intenderci, in cui si dibatteva sulla possibilità di farli rientrare in Italia oppure no. E per tutti quegli anni loro, sfruttando ad orologeria il principio d’utilità, hanno giurato e spergiurato che non volevano niente e che quel tesoretto apparteneva alla loro amatissima Patria. Nello stesso tempo, siccome sono un fulmine d’intelligenza, proclamavano in coro al mondo intero che li avrebbero regalati. Che commuovente generosità vero? E qui si ritorna a Totò quando vuole vendere la Fontana di Trevi. Perché quei gioielli non sono mai stati loro, ergo… ci state prendendo per i fondelli. Perché non si può regalare qualcosa che non ci appartiene. I gioielli, che hanno un valore di circa 300 milioni di euro, non appartengono ai Savoia per legge. E non per una legge dello Stato italiano. Ma, guarda un po’, per una regia legge del 1850 che stabiliva che erano solo in “dotazione” alla Corona. Do-ta-zio-ne! Per volere di una legge scritta dai loro avi. E anche questo pare scritto dai Vanzina o giù di lì.

La verità, però, è che era tutto un bluff. Perché con la stessa sciocca cocciutaggine dell’erede farlocco proveniente dall’altro capo del mondo, ora i Savoia vogliono fare causa allo Stato italiano per riaverli. Perché sono nostri, dicono. Un po’ come l’australiano. Solo che lui  poverino magari non sta bene di capa, loro sono in malafede. Siamo alle comiche finali, che andranno in scena il prossimo 7 giugno con la prima udienza. Uno scontro da una parte storico, perché ci si batterà a suon di pergamene, regi decreti, registri, diari e quant’altro. E dall’altra parte patetico, perché senza un minimo di real pudore questi quattro scappati di casa (nel vero senso della parola) vengono a batter cassa allo Stato italiano invece di risarcire loro a noi per tutti i guai che ci hanno fatto passare. Ora è vero: abbiamo una classe politica d’incompetenti, improvvisati, bugiardi e voltagabbana. Ma poteva andare peggio. Al referendum del 1946, che tra l’altro i Savoia ogni due per tre tentano di delegittimare, poteva vincere la monarchia. E oggi al posto di Draghi ci ritrovavamo Emanuele Filiberto. Sai che risate!
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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