Caos superbonus, trentamila aziende rischiano il fallimento

- di: Diego Minuti
 
Per dirla con una semplice definizione, il superbonus edilizio si sta rivelando un casino di ampiezza inenarrabile per chi - circa trentamila aziende, secondo la Cna - ci aveva scommesso forte sopra e ora rischia il tracollo, ovvero il fallimento. 

Una contingenza che, indirettamente, dà ragione a Mario Draghi che non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti di una misura apparsa, sin dalla sua approvazione, abbacinante nei numeri e nelle prospettive, ma anche foriera di sospetti per le troppe falle nei meccanismi di erogazione e quindi nel sistema di controlli. 

Un meccanismo che, nel momento del suo varo, era stato comunque accolto con favore, anzi con entusiasmo dai soggetti interessati all'operazione: chi poteva attingere al provvedimento, facendo nelle proprie abitazioni o condomini lavori a costo zero dopo averlo rinviati per anni per mancanza dei necessari fondi; chi, azienda, sapendo che i soldi sarebbero arrivati comunque, si è fatto carico del rischio (che all'epoca si pensava inesistente) di cominciare a lavorare anche senza prendere un quattrino; per le banche che, per definizione, non ci rimettono mai e che avrebbero dovuto comprare i crediti fiscali effetto dei bonus edilizi. 

Ora che tutto si è bloccato, la sola evidenza è che le aziende che avevano scommesso sul superbonus si ritrovano con le ossa rotte perché la banche hanno smesso di acquistare i crediti fiscali. Quindi, chi, azienda, aveva già speso per lavori che pensava sarebbero comunque onorati da qualcuno  (l'elenco comprendere le banche, le Poste, la Cassa depositi e prestiti) che avrebbe garantito la liquidità per coprire le spese e quindi sopravvivere prima ancora che lucrare, ora si trova con esposizioni debitorie preoccupanti, nell'impossibilità di potere cedere il loro credito.

Questa situazione è ora all'attenzione della politica, che cerca di mettere una pezza ad una vicenda che doveva aiutare la gente e le imprese e che invece da qualcuno è stata vista soltanto come un rubinetto di liquidità cui attingere con arroganza e spregiudicatezza tali da rendere i ''furbetti del quartierino'' dei maldestri apprendisti del malaffare. 

Ora il Parlamento deve trovare una soluzione, magari all'interno del decreto aiuti. Partendo dal presupposto che l'ammontare dei lavori eseguiti ''a futura memoria'' dalle aziende ammonta a oltre due miliardi e mezzo di euro, l'ipotesi è quella di lavorare su una soluzione che consenta alle stesse aziende di tenere nel loro cassetto fiscale il credito relativo allo scorso anno fino al 2023 e magari anche oltre. Dando così alle aziende la possibilità di tirare il fiato. Ma la misura che potrebbe realmente raddrizzare la situazione di molte aziende è quella di ampliare lo spettro di coloro che potrebbero acquistare i crediti fiscali, categoria oggi limitata solo alle banche. Stando allo schema esistente, le banche possono cedere i crediti fiscali ad altri istituti oppure a una grande impresa che, indebitata con il Fisco, può in questo modo alleviare la situazione debitoria. Tra le tante incertezze che fanno capolino, c'è il solo un punto che per il governo non è trattabile: qualsiasi soluzione possa essere trovata non deve avere alcuna ricaduta per lo Stato in termini finanziari o economici. 
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