Calcio: l'immarcescibile Gravina se la prende con tutti, ma nessun processo al suo operato

- di: Francasco Di Stefano
 
C'era una volta il 'campionato più bello del mondo', che attirava i campioni stranieri a suon di milioni, ma anche per la qualità del gioco. Non che lo spettacolo fosse chissà cosa, ma chi andava allo stadio era sicuro di vedere una partita bella sotto il punto di vista della qualità dei suoi interpreti e della tattica, perché anche su fronte allenatori stavamo bene. Poi è cominciato il declino, che è figlio di parecchi, ma che, negli ultimi anni, ha visto come indiscusso protagonista il presidente della Federazione italiana giuoco calcio, Gabriele Gravina, che ha dalla sua una grande capacità: non sa nemmeno dove stia di casa la presa d'atto dei fallimenti.

Se Gravina - che pure le biografie definiscono imprenditore, quindi con una preparazione di base che gli dovrebbe consentire di capire che degli errori di gestione qualcuno deve pure farsi carico - fosse alla guida di una azienda, con tanto di azionisti, da tempo sarebbe stato accompagnato alla porta, chiedendogli di lasciare le chiavi dell'ufficio al portiere della Figc. Invece, come se indossasse, invece dei suoi classici completi di colore scuro, delle corazze di teflon, Gravina riesce a farsi scorrere addosso tutto, come pioggia sul cristallo. 

Perché di cose negative la presidenza Gravina ne ha messe in fila parecchie, e quella ultima delle dimissioni di Roberto Mancini, con il bailamme che ne è seguito fino alla chiamata alle armi di Luciano Spalletti, tacendo delle vere ragioni del gesto del ct campione d'Europa, è la classica ciliegina sulla torta.  Ora Gravina si lamenta di tutti. O, per meglio dire, di tutti quelli che non hanno voluto sottostare al suo mandato.  Nelle scorse ore, nel mirino di Gravina, sono finiti Mancini (di cui, dicendo e non dicendo, fa capire chissà quali colpe, senza però dire chiaramente di cosa si stia parlando) e il presidente del Napoli, Aurelio de Laurentiis. Quest'ultimo ha tutte le ragioni legali di questo mondo nel capitolo della penale che ha chiesto a Spalletti di onorare, avendo violato una delle clausole dell'accordo grazie al quale l'allenatore toscano ha rescisso anticipatamente il contratto con il Napoli. E sinceramente non capiamo di cosa de Laurentiis si sia macchiato agli occhi di Gravina, se non quella di lesa maestà nei confronti di chi forse confonde la parola ''presidente'' con quella di ''conducator''. 

I patti sono sempre da onorare, si diceva un tempo, ma non evidentemente per Gravina e la Figc, che ritengono che il fatto che Spalletti sia stato chiamato ad allenare la nazionale priva di efficacia un contratto stipulato in accordo tra le parti. A meno che Gabriele Gravina sa, per vie traverse e misteriose, che la firma in calce al contratto con il Napoli sia stata estorta a Spalletti con la violenza.  Nella vicenda del prossimo ct della Nazionale - che ha quattro angoli: Mancini, Spalletti, Figc e Napoli - è difficile dire che le colpe stanno solo da un lato. Ma di certo lo stesso si deve dire per la ragione che non può essere esclusivamente di Gravina per il solo fatto che ''lui è lui e gli altri.....''.  Il ruolo di presidente della Figc è un miracolo di equilibrio, tra le tante componenti del movimento calcistico, ma non è che una volta che si viene eletti si viene infusi dallo Spirito Santo e, quindi, dalla certezza dell'intangibilità. 

Perché, come nel caso di Gravina, quando una Nazionale viene sconfitta dalla Macedonia del Nord (non dalla Germania, dalla Francia, dal Brasile o dall'Argentina), la prima cosa da fare è presentarsi dimissionari e pretendere che le dimissioni vengano accettate. Perché non andare per la seconda volta di fila ai mondiali è gravissimo, non tanto perché non possa accadere, ma per il modo in cui siamo stati sbattuti fuori da una nazionale che, col massimo rispetto per la Macedonia del Nord, avrebbe difficoltà a calcare i campi della nostra serie B. Gravina, piuttosto che togliere l'incomodo, è rimasto al timone di quello che doveva essere un veliero e che si è dimostrata una bagnarola. 
Senza volere andare molto indietro nel tempo, basta tornare al 2018 e al presidente della Figc di allora, Carlo Tavecchio, campione mondiale di gaffe. Come quella riguardo ai tanti giocatori di colore del nostro campionato, che merita di essere citata alla lettera: '' “Le questioni di accoglienza sono una cosa, quelle del gioco un’altra. L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare. Noi invece diciamo che Optì Poba è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigre''. 

Ecco, pure se ogni tanto le sue parole andavano a ruota libera, per non dire altro, Tavecchio ebbe un momento di consapevolezza e dignità e, quando l'Italia non si qualificò per il mondiale, si dimise. Facendo contenti molti, ma andandosene senza che nessuno gli potesse dire di essere imbullonato alla poltrona.  Una scelta, certamente dolorosa, che Tavecchio fece e che ci saremmo aspettati facesse anche Gravina, che però non ha mai preso su di sé colpe evidenti. Perché se una società va in difficoltà, il primo a doverne rispondere è il suo amministratore delegato. Che, nel caso della Figc, è il dottor Gabriele Gravina. Che ha detto: ''Di cose buone ne abbiamo fatte parecchie. Il mio obiettivo per il futuro è contribuire a un calcio migliore. Come e dove non è importante''.  E delle cose ''non buone'', anzi disastrose ne vogliamo parlare?
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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