8 marzo: giusto ''festeggiare'' le donne, ma perché minacciare la paralisi del Paese?

- di: Redazione
 
Uno sciopero generale per sostenere la piattaforma che un gruppo femminista ha proposto e che alcune organizzazioni di base hanno fatto propria proclamando, per l'8 marzo, una astensione totale dei propri iscritti dal lavoro.
Una notizia come un'altra - di scioperi, ogni anno, in Italia si fa il pieno -, ma che forse in questo momento storico merita più d'una considerazione, riguardo alle motivazioni - giuste - e al metodo con cui sostenerle - a nostro avviso quanto meno emendabile -.

8 marzo: giusto ''festeggiare'' le donne, ma perché minacciare la paralisi del Paese?

La finalità dello sciopero, di qualsiasi sciopero, è sensibilizzare il ''padrone'' verso un determinato argomento, facendogli il più male possibile. Quindi; se la fabbrica di autovetture non paga il giusto si sciopera, bloccando la produzione e causando un danno economico; se i precari della scuola (o di qualsivoglia altro settore pubblico) chiedono di essere stabilizzati, lo sciopero cerca di fare capire che, senza di loro, le attività didattiche si fermano. E potremmo andare avanti per parecchi esempi.
Ma le rivendicazioni avanzate da un gruppo femminista, quindi con finalità di genere, per essere sostenute hanno bisogno di mettere l'intero Paese a rischio paralisi, con alcuni settori (come il trasporto pubblico) a soffrirne più di altri?

I sindacati - soprattutto quelli di base - hanno raccolto l’appello allo sciopero fatto dal movimento ''Non una di meno'', e questo mostra sensibilità per le diseguaglianze. Ma la piattaforma posta a base della protesta è talmente vasta e articolata da fare perdere di vista quale sia il suo obiettivo, perché inseguirne troppi - ce lo dice l'esperienza - priva di forza la protesta. Sappiamo tutti che la nostra società deve porsi ''contro la violenza e ogni discriminazione di genere'', ma se poi, nel calderone, ci getti anche ''l'abbrutimento culturale e delle relazioni sociali'', ti devi chiedere cosa voglia dire, visto il linguaggio sessantottino, quando si contestava tutto, anche il colore del cielo.
Poi, se nella miscellanea ci infili anche ''le politiche xenofobe sull'immigrazione'', appare evidente la politicizzazione della protesta, quasi che le giuste rimostranze delle donne contro il differente trattamento economico e gli ostacoli alla progressione della carriera debbano, come affluenti del grande fiume dell'ideologia, andare necessariamente a tuffarsi nella strumentalizzazione. La protesta è sacrosanta, ma ha le sue regole, forse anche i suoi riti.
Se l'adesione allo sciopero dell'8 marzo sarà consistente cosa resterà, alla fine?

I risultati conseguiti o lo sbigottimento di chi, magari, aspetterà invano un bus per andare a lavoro e gli (ma soprattutto ''le'') si dirà che deve andare a piedi o, peggio, prendere un taxi? Come la prenderà sapendo che lo sciopero è contro ''l'abbrutimento culturale'' e ''le politiche xenofobe sull'immigrazione'', quando ci sono già state manifestazioni specifiche su questi delicati argomenti?
Si sa che, quando viene indetto uno sciopero che comporta disagi, si mette in conto che qualcuno s'arrabbierà, magari protesterà, ma alla fine gli resterà in testa il perché.
Ma qui la condizione femminile e l'emancipazione dalla ''retroguardia'' della società civile diventa strumento della lotta politica, proprio quando le donne sono al vertice delle istituzioni, e non parliamo solo di Giorgia Meloni.
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