La "Normalità" dell'eccellenza

- di: Germana Loizzi
 

Essere ‘Normalista’ è un’esperienza culturale e formativa unica. Un laboratorio di progetti nell’interesse
della crescita culturale e scientifica del Paese

 

Professor Barone, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi, che aveva frequentato la Scuola Normale Superiore, scrisse che “semel normalista, semper normalista”. Una volta che si è stati normalisti, lo si è sempre. Che cosa significa questa frase in concreto? La condizione di normalista, mi passi la battuta, è una patologia che una volta contratta l’organismo non riesce più a debellare?
Il Presidente Ciampi si riferiva a qualcosa di ben preciso, a una dote che viene richiesta agli studenti della Scuola Normale al momento del loro ingresso e che poi viene coltivata nei successivi anni di studio: il rigore come metodo di studio e, direi, di vita. Quando si conduce una ricerca, quando si scrive un testo, ma anche quando si discute o ci si confronta con altri punti di vista è indispensabile parlare con cognizione di causa, ovvero documentarsi attraverso fonti dirette e variegate. È un lavoro al tempo stesso in profondità e in estensione e questa “precisione” e vastità è richiesta sempre, nelle conversazioni quotidiane a mensa così come nei dibattiti in aula…Non ci si può mai fidare del “sentito dire”, ma solo di quel che si vede realmente, e l’ultima autoritas da consultare nel giudizio finale è comunque e sempre la propria coscienza. Un normalista è una persona che è patologicamente affamata di verità, “senza scorciatoie”, come dice il presidente Ciampi in quella stessa citazione che Lei ha ricordato. Pensiamo alla portata etica di questa concezione dello studio, del lavoro, del pensiero, del confronto, nella nostra epoca di fake news virali e di pressapochismo dilagante. 

Nel panorama universitario nazionale e internazionale, la Scuola Normale Superiore si distingue come uno dei luoghi più accreditati per maturare solide competenze nell’ambito della ricerca scientifica. Le ammissioni degli studenti sono accuratamente selezionate e basate esclusivamente sul merito. Come avvengono nello specifico? Quanti posti, mediamente, sono a disposizione? E quante sono le domande che arrivano ogni anno per l’ammissione? A quali studenti delle scuole superiori consiglia di tentare l’ingresso alla Normale?
Nel concorso di ammissione ci sono prove scritte molto complesse, rigorosamente anonime, superate le quali si passa alle prove orali. Ogni anno ci sono circa 30/35 posti a disposizione per la Classe di Lettere e Filosofia e 30/35 per la Classe di Scienze: partecipano mediamente tra i 1.000 e 1.200 candidati da tutte le regioni d’Italia. Una selezione veramente severa e rigorosa. Una volta superato il concorso, la mole di impegni didattici che un allievo si abitua a svolgere è superiore a quella degli altri studenti universitari e rappresenta una palestra che ne allena la capacità di sopportare carichi di lavoro non comuni. I nostri studenti sono tenuti a seguire infatti due percorsi universitari paralleli e contemporanei: uno all’Università di Pisa ed uno alla Scuola Normale, con lezioni interne e un colloquio di passaggio d’anno. Non sono ammessi, pena l’allontanamento dalla Scuola, nè voti inferiori a 24, nè una media inferiore a 27. Capisce bene che questo tour de force o ti schiaccia, o ti rende molto forte, anche come capacità di sopportazione dello stress. Inoltre i nostri studenti si avvicinano fin da subito alla ricerca e sono tenuti a realizzare una tesina ogni anno, che li abitua alla scrittura “argomentata”. Noi non vogliamo solo studenti preparati a livello nozionistico, ma intraprendenti, autonomi, responsabili. Tenga presente che il tasso di abbandono è vicinissimo alle zero. Significa che, una volta selezionati i migliori e superato il rodaggio dei primi mesi, praticamente tutti i normalisti acquisiscono quella marcia in più che li porta alla fine del percorso di studi.

Sempre in tema di ammissioni, lei ha lamentato il fatto, numeri alla mano, che le domande provengono soprattutto dai ragazzi, molto meno dalle ragazze. Da cosa dipende questa differenza di genere?
In tutte le discipline coltivate alla Normale purtroppo il numero di domande al concorso di ammissione vede una netta prevalenza di maschi, che si traduce, poi, in un risultato analogo per quanto riguarda gli studenti che superano il concorso di ammissione. Forse la frequenza alla Scuola è percepita come troppo totalizzante, limitando tutte le altre attività ed interessi tipici di ventenni intelligenti ed esuberanti. Allo stesso tempo forse vengono ipotizzate una competitività esasperata ed una iper-specializzazione più vicine all’educazione tradizionale e all’immaginario convenzionale dei maschi che delle femmine. A mio avviso questo richiede un’opera di informazione capillare e, in parte, un ripensamento sulla forma, ma non sul rigore, delle prove di ingresso.

Appare perfino superfluo, tanto è arcinoto, il ruolo cruciale e speciale che in due secoli di storia la Normale ha conquistato, connotato dal talento e dal rigore scientifico. Oltre cinquemila sono gli allievi che hanno superato il selettivo concorso di ammissione alla Scuola dalla sua fondazione ad oggi. Un numero non grande, ma appunto con una concentrazione senza paragoni di scienziati, scrittori, politici, economisti, uomini di cultura che hanno fatto la storia dell’Italia. Cosa fa della Normale un’Università così speciale? Qual è il ‘metodo’ della Normale che in due secoli gli ha assicurato questo successo? Qual è la ‘marcia in più’ che la Normale innesta nel talento degli studenti?
Il rigore e l’altissimo livello della preparazione sono il nostro marchio di fabbrica e rimangono ancora estremamente validi. Tuttavia, io credo che sarebbe proficuo sperimentare anche criteri che consentano di mettere in luce aspetti quali l’originalità del pensiero e la capacità di vedere nuovi orizzonti, durante il percorso di studi. Queste caratteristiche devono essere ricercate non solo negli allievi, ma anche, e direi soprattutto, nel corpo docente, per far sì che la Normale non sia solo la Scuola della massima preparazione umanistica e scientifica, ma anche la Scuola del pensiero. Questa è la nostra grande sfida e io credo che abbiamo tutte le possibilità per affrontarla: la Normale è piccola, ci sono poche persone, tutte di altissimo livello, che possono confrontarsi quotidianamente; abbiamo due Classi Accademiche, Lettere e Scienze, in cui si studiano le basi (la “norma”, da qui il nostro nome) di tutte le altre discipline. Se non proviamo a immaginarci un nuovo modo di pensare qui, dove è possibile farlo? Qual è la soluzione a problemi come quello dello sfruttamento delle risorse, dell’integrazione dei popoli, della mancanza di prospettive lavorative per milioni di persone in tutto il mondo? A questioni così complesse si stanno cercando di dare risposte tampone, e tutte dettate dalle contingenze. Secondo me invece il futuro si costruisce se qualcuno comincia a percorrere una “nuova strada”, trovata magari durante una ricerca rivolta ad un obiettivo del tutto diverso.

"La Normale - lei ha affermato nel discorso per il conferimento dei Diplomi, il 21 dicembre 2017 - può fare da apripista in molti ambiti: per esempio nell’interdisciplinarità, parola usata e abusata da tutti, ma in concreto sperimentata da pochi. Noi siamo avvantaggiati perché la metà dei nostri allievi a Pisa fa Scienze, e l’altra metà fa Lettere: tutti viviamo sotto lo stesso tetto e interagiamo quotidianamente”. Che cosa significa esattamente, dal suo punto di vista, l’interdisciplinarietà, e come si può attuare al massimo livello? Perché la ritiene così fondamentale?
Dante Alighieri aveva conoscenze cosmologiche, letterarie, storiche, matematiche, e naturalmente teologiche. Le nozioni non erano separate in compartimenti stagni, ma interagivano in un tutt’uno che era la coscienza di Dante, una coscienza che ha partorito uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale, nonché un resoconto dettagliato sulla storia, filosofia, cultura del suo tempo. Per interdisciplinarità intendo questo: la matematica, la cosmologia, la storia, la letteratura e altri ambiti che si integrano in una sola forma di pensiero, in cui tutto si tiene. Naturalmente questo tipo di conoscenza non corrisponde al metodo scientifico di cui parlavo all’inizio dell’intervista e che è il marchio della Normale: le conoscenze di Dante erano vaste e profonde ma generalmente “di seconda mano”. Le autoritas erano Aristotele, Tommaso d’Aquino, Virgilio, Tolomeo: ci si affidava alla concezione del mondo ereditata dal passato, non mettendola in discussione. Io penso che sia fondamentale recuperare questa forma di conoscenza interdisciplinare e multidisciplinare, adattandola però al metodo del rigore scientifico. La iper-specializzazione ha prodotto un salto in avanti nella storia umana, ma credo che siamo arrivati a un punto in cui per procedure ulteriormente sia necessario un cambio di paradigma. Dobbiamo recuperare la capacità che avevano Dante, Leonardo, Machiavelli, Pico della Mirandola, di avere uno sguardo globale. È fondamentale che un nuovo modello di istruzione venga sperimentato in laboratori del pensiero che esplorino nuove direzioni e nuovi paradigmi. Io credo che la Normale possa essere uno di questi laboratori, il più attrezzato proprio perché dentro di sé convivono le discipline di base a partire dalle quali si costruisce tutto l’edificio della conoscenza.

Collegandosi alla domanda precedente, la Normale ha di recente dato vita a una Federazione con la Scuola Superiore Sant’Anna -altra eccellenza del sistema universitario italiano - e con lo Iuss di Pavia (una Scuola universitaria giovanissima, ma che ha saputo in pochi anni crearsi una reputazione di rigore e prestigio). La Normale è anche membro cruciale del Coordinamento delle Scuole Superiori Universitarie, composto dalla Federazione più Sissa, Gran Sasso Institute e IMT di Lucca. Lei mostra di credere fortemente in questo modello federativo. Quali sono i punti di forza di questo modello in termini di interdisciplinarietà?
Le scienze di base della Normale e le scienze applicate della Scuola Sant’Anna iniziano per la prima volta in un dialogo che spero possa essere molto fruttuoso. Lo Iuss si inserisce in questo percorso perché contempla sia una parte delle nostre discipline, sia una parte di quelle del Sant’Anna. Stiamo già collaborando concretamente in alcuni corsi di dottorato, “Data Science” e “Transnational Governance”, e nel primo corso ordinario congiunto, in Scienze Politiche e Sociali. Ci ripromettiamo di estendere sempre di più questi percorsi congiunti e di presentarci come un’unica realtà di punta del sistema universitario nazionale, che copra molti ambiti del sapere. Spero che la Federazione possa fungere da catalizzatore in questo percorso di una grande Scuola universitaria italiana, che copra svariate discipline, una realtà secondo me fondamentale.

Nella prolusione per la Cerimonia di inaugurazione dell’Anno accademico 2018-2019 lei ha affermato: “Alcuni dei nostri migliori risultati confermano una realtà: anche quest’anno la Scuola Normale ha fatto la fortuna di accademie e centri di ricerca all’estero. In compenso noi non riusciamo a competere con i salari offerti dalle migliori università europee e di oltreoceano. Non possiamo ‘riprenderci’ i Figalli, i De Lellis, le Carusi… anche quando le nostre risorse ci consentirebbero di ingaggiare i fuoriclasse che vorremmo, non ci viene permessa la flessibilità necessaria alla loro assunzione; questo perché tutti gli atenei in Italia devono sottostare alle stesse regole, a prescindere dai risultati conseguiti, dai traguardi raggiunti, dai progetti ultimati e in crescita. Che sono molti”. Una constatazione molto amara. Cosa sarebbe necessario fare per evitare questa situazione? Quali proposte concrete avanza?
Serve flessibilità nei salari e valutazione ex post anziché ex ante. Un ateneo virtuoso che dispone dei fondi necessari per proporre un salario adeguato a un professore o ricercatore ritenuto “top”, in Italia non può farlo perchè è legato da vincoli generali e molto restrittivi. È giusto questo? È giusto, come nella valutazione ex ante in vigore nel nostro paese, scegliere qualcuno indipendentemente dai risultati che otterrà? È come se un ingegnere progettista della Ferrari dovesse essere scelto sulla base della sua capacità di progettare qualunque cosa dagli aeroplane, alle navi, alle machine utensili o come se il suo stipendio dovesse essere necessariamente lo stesso di quello di un ingegnere responsabile della manutenzione di una piccolo azienda meccanica. Un meccanismo assurdo a cui invece le università sono obligate a sottostare. È necessario invece, una volta chiamato il professore ritenuto dall’ateneo più adatto per quel determinato settore grazie alla possibilità di erogare stipendi commisurati, dettare le condizioni di partenza e verificare poi, dopo un periodo congruo, se la scelta operata abbia portato a un miglioramento dei risultati ottenuti dal gruppo, laboratorio o istituzione, penalizzando con severità i peggioramenti non giustificati e premiando i miglioramenti.

La Normale si caratterizza per essere una realtà sempre in movimento, cercando di intercettare il nuovo e soprattutto di anticiparlo. Da qui una messe di iniziative, di nuovi corsi, di nuove attività impossibili da elencare tante sono. Ne può citare, per sintetizzare, alcune tra le più rilevanti prese negli ultimi anni? E quelle che vorrebbe attuare nel prossimo futuro?
La Federazione delle tre Scuole universitarie italiane di eccellenza; il primo corso di orientamento universitario a Napoli; la nascita del primo corso di dottorato di Astrochimica, sull’origine dell’universo; l’Istituto di Studi Avanzati Carlo Azeglio Ciampi, a Firenze, in cui studiosi sono chiamati a riflettere sull’economia e la comunicazione della politica; il primo corso ordinario congiunto Normale-Sant’Anna. Le cose fatte sono molte, ma quello che più mi sta a cuore è recuperare il ruolo della Normale come laboratorio di progetti nell’interesse della crescita culturale e scientifica del Paese.

                              

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