Quirinale 2022: dei dieci piccoli indiani alla fine ne restò solo uno

- di: Diego Minuti
 
Chissà se coloro che oggi tirano le file della strategia che dovrebbe determinare l'elezione del prossimo presidente della Repubblica, una volta concluso il settennato di Sergio Mattarella, sappiano chi è Septimus Winner. Per chi non lo conoscesse, è il poeta che, nel 1868, scrisse ''Ten Little Niggers'', che racconta, sotto forma di filastrocca, la storia di dieci ''neri'' che, nel giro di altrettante strofe, affrontano la morte, sia pure in circostanze e momenti diversi.
Una poesia che ebbe una certa notorietà, accresciuta poi a dismisura dal fatto che Agatha Christie, modificandone l'estrazione razziale dei protagonisti e facendoli diventare indiani, ne fece il titolo di uno dei suoi romanzi polizieschi più noti, appunto ''Dieci piccoli indiani''.

Parlando della corsa per il Quirinale, dieci piccoli indiani che, collocati ai blocchi di partenza in una gara che, non ha regole, alla fine dovrebbero vedere solo uno di loro sopravvivere (alla lotta politica) e ascendere al colle più alto della Capitale.
La bagarre è già scoppiata da tempo, riprendendo ciclicamente forza quando singoli episodi l'alimentano. Come, ad esempio, le parole dello stesso Mattarella, che con decisione ha negato l'ipotesi di succedere a sé stesso, portando a giustificazione la stanchezza accumulata in questi sette anni, in cui ha molto lavorato vista la litigiosità della nostra classe politica.
No, grazie, ha detto Mattarella a chi, velatamente o manifestamente, si augura che accetti di restare, magari a tempo. Quello necessario per permettere a Mario Draghi di esaurire il compito di salvatore della patria e, quindi, rendersi disponibile alla presidenza della Repubblica. Ciò non toglie che di nomi ne vengono fatti circolare in gran numero, alimentando il sospetto che i nostri politici siano caduti in quella che è una delle loro attività preferite, mischiando astuzia e luciferino sadismo: proporre qualcuno per qualcosa, ma solo per eliminarlo dalla competizione.
Per questo l'esperienza consiglia prudenza in questa fase, perché dei tanti nomi che circolano, la maggior parte sono destinati a sparire.

In molti si sono lanciati in previsioni, azzardando nomi che sono zavorrati da molte considerazioni negative che attengono al loro profilo politico o a cose di cui sono stati autori e che certo non hanno calamitato su di loro il consenso generale.
Ma qualche nome bisogna pure farlo e ci pare doveroso farlo partendo proprio da Mattarella.
Il presidente, quando la fine del suo settennato è ormai alle porte, raccoglie consensi generalizzati, poiché gli sono riconosciute qualità (equilibrio e pacatezza, innanzitutto) che hanno evitato traumatiche fratture dell'architettura costituzionale. La sua manifestata volontà di lasciare il Quirinale è comprensibile, se solo si pensa alle stupidaggini che sono state dette su di lui.

Una per tutte. Sono passati quasi tre anni da quando l'allora capo dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, se ne uscì con una proposta che riuscì a mischiare l'orrore dei costituzionalisti e gli sghignazzi del resto della politica italiana: mettere sotto impeachment Mattarella. ''Dico che bisogna mettere in stato di accusa il presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto, anche per evitare reazioni popolari'', disse l'esponente grillino. Quindi, non solo uno sfondone politico, ma anche una minaccia bella e buona, quella di mobilitare la piazza.
Davanti a queste cose, Mattarella dovrebbe essersi rafforzato nella sua determinazione di andare via. Ma se tutti i partiti si unissero nel chiedergli un ''sacrificio'' cosa gli direbbe il suo senso dello Stato? Staremo a vedere.

Legato a quello di Mattarella, c'è il nome di Mario Draghi che, lo raccontano le cronache delle ultime ore, sembra vestire con sempre maggiore piacere le vesti del politico. E questo ne accresce le possibilità di fare il grande balzo, perché se prima lo si rispettava per quello che aveva fatto nella Bce, ora raccoglie consensi per come tiene a bada la nemmeno celata voglia dei suoi supporters politici di farsi reciprocamente a pezzi in vista delle elezioni politiche che, prima o poi, dovranno pure arrivare.
Quindi, in una ideale griglia di partenza, se Mattarella dovesse fare un passo indietro, in pole position c'é proprio Draghi.

E gli altri ''concorrenti''?
Alcuni nomi - come quello di Emma Bonino, da sempre candidata a tutto, sia per sua aspirazione che per quella di altri - sembrano essere stati fatti per alzare un polverone e null'altro. Così come quello di Rosy Bindi, che è - per sua scelta - da troppo tempo fuori da certi giochi, necessari per aspirare concretamente a qualcosa. Altre proposte, come quello del costituzionalista Sabino Cassese, potrebbero trovare un fuoco di sbarramento da parte di chi mal ha sopportato la sua campagna contro l'abuso di decreti del presidente del Consiglio, all'epoca in cui a firmare questi atti era Giuseppe Conte. E, siccome ci sono personaggi politici (ed anche media di corrente, non più di partito) che hanno memoria lunga, una eventuale candidatura di Cassese rischia di trovare più dinieghi che consensi, perché si potrebbe dire che un costituzionalista, sia pure esimio, non necessariamente è adatto (per carattere, innanzitutto) a fare da garante della Costituzione.
Poi, verrebbe da dire restando nell'ambito della competizione agonistiche, ci sono i maratoneti, quelli che sono in corsa da sempre e che, sia pure dietro lo schermo del ''non ci penso nemmeno'', qualche ambizione sembrano nutrirla. Come Giuliano Amato, che resta sempre una risorsa del Paese. Come Dario Franceschi, con tutto il suo peso specifico in seno al Partito democratico e la fitta rete di amicizie che ha saputo intessere negli anni, e non solo quelli passati da ministro.

E come tacere dell'ipotesi Veltroni?
Walter l'eterno, che calca i palcoscenici della politica da quando era ragazzino e gli spuntava la prima peluria, ha un cursus honorum di tutto rispetto e, al di là di qualche inciampo all'inizio della sua carriera scolastica, ha praticamente fatto di tutto: il parlamentare, il segretario di partito, il sindaco di Roma, il giornalista, il saggista, lo sceneggiatore, lo scrittore, il regista. E continua a farlo, con ritmi ai quali non resisterebbe nemmeno Aleksej Stakanov, il minatore di staliniana memoria.
Politico e uomo di cultura, profondo conoscitore dei palazzi del Potere e personaggio popolare: chi meglio di lui? Comunque a questa domanda non dovrebbe rispondere Massimo D'Alema, autore della più fulminante delle battute sul suo eterno rivale (anche se ne esistono più versioni, quella più vicina alla verità dovrebbe essere ''l'unico uomo al mondo che ha scritto più libri di quanti ne abbia letti'').

Poi ci sono anche la destra e centrodestra che non scoprono le carte, se non lanciando qualche ballon d'essai tanto per fiutare il vento. Lo stesso nome di Silvio Berlusconi, che pure viene fatto (solo tra i più estremisti tra i suoi pasdaran), sembra un contentino all'ex cavaliere.
Mancano, comunque, ancora molti mesi, ma un paio di nomi almeno a noi vengono in mente come alternative e sono di donne, non per una questione di genere (pure importante), ma solo perché lo meritano o perché sarebbero perfette per il ruolo.

Nella prima categoria andrebbe inserita d'ufficio Liliana Segre, così, solo per fare imbestialire quelli che l'hanno coperta di insulti e minacce per la sua origine ebraica e il suo impegno per preservare la memoria; nella seconda la candidata forse più accreditata è Marta Cartabia, attuale ministro della Giustizia (anche se, verrebbe da dire, lo è stato anche Bonafede), ma con un c.v. che, solo a leggerlo, sbarazzerebbe tutti i concorrenti. Infine ci sarebbe la terza carica dello Stato, Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, spesso accostata al Quirinale, ma che la recente vicenda della frequenza dei voli di Stato che ha usato nel corso del mandato potrebbe avere azzoppato.

Ah, poi ci sarebbe anche Pierferdinando Casini, ma lui c'è sempre.
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