La giusta magistratura tributaria

- di: Roberto Pertile
 

Già nel lontano 1948, Luigi Einaudi scriveva sulla necessità di leggi semplici, eque, chiare e soprattutto inflessibili. Ma qualunque legge, anche ottima, a nulla gioverà se ad applicarla non sia chiamato un corpo di funzionari colto, indipendente, ben pagato, sussidiato da una “GIUSTA MAGISTRATURA TRIBUTARIA”.
Il pensiero di Einaudi è di grande attualità, anche in quest’ultima considerazione.

Oggi, in Italia, le leggi tributarie sono talmente tante che non si sa nemmeno bene quante siano esattamente: probabilmente 783, come scriveva Giuditta Marzelli sul Corriere della Sera del 18/02/2018.
E, ovviamente, la proliferazione delle norme fiscali è accompagnata da altrettanta incertezza interpretativa.
Sempre sul Corriere della Sera, del 26.11.2017, si legge che nel corso del 2016 sono state emanate dall’Agenzia delle Entrate 50 circolari (quattro al mese) e 122 risoluzioni ministeriali, per un totale di circa 2 mila pagine.
Ancora dal Corriere, si apprende che, nel 2016, circa 21 milioni di contribuenti avevano una pendenza economica con Equitalia inferiore a mille euro. A fronte di tanto accanimento tributario si continua, comunque, ad evadere e anche le aliquote alte sembrano essere una giustificazione all’evasione.

Secondo lo studio fatto da Carlo Cottarelli (“I sette peccati capitali dell’economia italiana”- editore Feltrinelli) mediamente gli italiani dovrebbero pagare tasse per il 42% del reddito, contro il 35% dei Paesi OCSE. Sempre secondo Cottarelli, l’economia sommersa, nel 2014, era pari al 13% del PIL. Dunque, siamo di fronte ad un’evasione elevata, facilitata senz’altro dalla lista infinita di tasse e imposte, spesso di difficile interpretazione, con il consueto corollario di circolari e di risoluzioni relative.
Sono numerosissimi gli adempimenti fiscali che rendono molto difficile la gestione delle imprese, come di qualsiasi altra attività economica. A mio avviso si potrebbe semplificare, passando a metodologie di prelievo di tipo automatico,  come suggerisce la legge di Pareto: visto che l’80% del reddito è prodotto dal 20% dei redditieri, e l’80% dei redditieri produce solo il 20% del reddito, sarebbe conveniente semplificare al massimo i meccanismi di accertamento e prelievo di questi ultimi, in forza di automatismi, e concentrare invece i controlli sul restante 20%, i veri produttori della ricchezza imponibile.

I vari spesometri, redditometri et similia (vedi elenco clienti e fornitori etc.) hanno solo prodotto un carteggio inutile, che va a sovrapporsi ad altri tabulati inutili, scaricando sugli uffici competenti una massa enorme di dati difficili da gestire.
A fronte di tante disposizioni, istruzioni dettagliate ed infiniti casi particolari, sarebbe meglio puntare su poche regole chiare e precise.
(Un esempio pratico: la tenuta contabile del magazzino, con una valenza fiscale  attualmente poco efficace, soprattutto  per i piccoli e medi operatori, potrebbe migliorare, riportando entro il 30 di ogni mese le movimentazioni di magazzino, stampate sul libro bollato, con l’indicazione di  prezzi e quantità. Così facendo, al 31 di dicembre si avrebbe già il dato “definitivo” delle rimanenze finali. In tale modo il bilancio è già fatto evidenziando le imposte da pagare, con un margine molto ridotto di variazione.)
Inoltre, andrebbero superate le ragioni socio economiche che hanno giustificato, legalizzandola,  l’evasione nel Veneto (in primis) e nel Sud. Magari ripristinando semplicemente la procedura della bolla di accompagnamento delle merci e la relativa fattura.
Occorre altresì prendere atto dei profondi cambiamenti strutturali che sono avvenuti nell’economia globale, ad iniziare dal ridotto peso politico ed economico dei singoli Stati nazionali; dalla incredibile velocità di movimento, da un capo all’altro del mondo, dei capitali finanziari, dalle diffuse delocalizzazioni, con la produzione di redditi significativi al di fuori dei confini nazionali, dal fenomeno delle grandi società di “digitalizzazione” (web tax).
E’ indispensabile tassare il reddito dove si manifesta, incrementare le imposte indirette; aumentare l’aliquota IVA su particolati prodotti, e adottare aliquote IVA uguali per tutti  i paesi UE. In conclusione, serve un nuovo disegno strategico ed operativo.
Alla luce delle riflessioni fin qui fatte, è opportuno affrontare il problema delle riforme strutturali del fisco, in Italia, partendo dalle fase finale della riscossione, al fine di far pagare le tasse possibilmente a tutti i contribuenti.

Per raggiungere questo risultato, è necessario, a mio avviso, introdurre riforme che realizzino una struttura di tassazione, accertamento e riscossione molto diversa dall’impostazione attuale, che non rende giustizia al patto sociale che è alla base della nostra democrazia.
Come abbiamo già accennato in precedenza, secondo la legge statistica nota come  “80 /20”,  (legge di Pareto), circa un 20% dei contribuenti, in linea di massima produrrebbe da solo l’80% del reddito. E’ dunque, questo, il principale aggregato da monitorare, in quanto rappresenta la “cassaforte” della finanza pubblica. E’ qui, soprattutto, che va controllata l’eventuale evasione.

Per il restante 80% dei contribuenti, invece, la contribuzione fiscale potrebbe adottare un meccanismo di semplificazione automatica, che per certi versi già esiste, ma che andrebbe ripreso e possibilmente migliorato.
(Un esempio pratico: per gli esercenti con lavoro autonomo nel commercio e nell’erogazione dei servizi si possono prendere in considerazione il numero di vetrine, la loro ubicazione in centro o periferia, il numero dei dipendenti e i relativi salari, e così via, adottando parametri specifici alle varie attività commerciali e arrivando a stime verosimili, che permettano di determinare a priori sia l’ammontare del reddito imponibile che l’aliquota di tassazione. Non ci sarebbe la necessità di scritture contabili, salvo il registro IVA per eventuali controlli. Tutto automatico, fino ad una certa soglia di reddito stimato imponibile.

Invece, per quel 20% di soggetti che superano questa soglia di reddito  è auspicabile mantenere la contabilità analitica,  che  preveda la tenuta del magazzino, per quantità e prezzi, su libro vidimato stampato ogni fine mese. Come già detto, in questo modo il bilancio di fine anno sarebbe  praticamente fatto,  bloccando l’adozione di “politiche fiscali”. Si ricorrerebbe qui ad una fiscalità “plurale”, con aliquote che tengano conto delle caratteristiche proprie dei settori da cui proviene il reddito. Nello specifico, per i redditi di capitale si propone una cedolare secca, con una percentuale pari all’aliquota media europea. Per il settore industriale, il 24% attuale potrebbe andare bene.)
Prendiamo in considerazione, per esempio, il reddito agrario. Dando alla fiscalità una capacità di crescita del sistema, sia l’azienda agricola che il “coltivatore diretto” hanno bisogno di essere stimolati per crescere a livello internazionale. Oltre una certa soglia di fatturato sarebbe dunque opportuno tenere la contabilità analitica. Al di sotto questa soglia, sarebbe bene applicare il reddito automatico.

In materia di imposte dirette, rimane valida la progressività delle aliquote, ma è opportuno semplificarle: un’aliquota bassa per i redditi di prima fascia abbastanza ampia, una seconda per i redditi medi, due aliquote per i redditi alti. Al momento invece, in Italia, alcuni partiti politici avallano l’introduzione della “flat tax”, una tassa unica ed uguale per tutti.
La “flat tax” si giustifica sul principio che, se più risorse vengono lasciate ai ricchi, anche i cittadini a basso/medio reddito ne avrebbero un discreto vantaggio, grazie a nuovi posti di lavoro e alla maggiore capacità di spesa. In realtà, pur tenendo conto dei vari settori di investimento dei capitali, soprattutto dell’attività della finanza speculativa, la “flat tax” è  un’operazione a senso unico: potrebbe contribuire ad aumentare la ricchezza dei ceti maggiormente abbienti.
Così sostiene anche Joseph E. Stiglitz, che, nel suo testo: “Invertire la rotta, Disuguaglianza e crescita economica” (edizioni Laterza), valuta infondata la tesi per cui le risorse lasciate ai ricchi sarebbero inevitabilmente filtrate verso il resto della popolazione. Dati alla mano, pare proprio che la disuguaglianza socio economica stia aumentando, in modo particolarmente evidente ed endemico nei paesi più ricchi.
Infatti, in un’economia sempre meno manifatturiera, i redditi più alti non producono più investimenti realmente produttivi, con effetti di aumento dei livelli occupazionali e/o del salario medio dei lavoratori. Il risparmio oggi non è più indirizzato prevalentemente all’economia reale, bensì alla finanza speculativa, che dà invitanti prospettive di facili ed immediati  profitti. Non solo, molta liquidità è stata investita nella compravendita di immobili già esistenti, per realizzare rendite speculative. In questo caso, non c’è “manifattura”; costruire cioè  nuovi immobili con la creazione di nuovi posti di lavoro. Si è speculato su immobili “improduttivi”, con conseguenti bolle speculative nel mercato immobiliare.

Federico Rampini, su Repubblica del 13.03.2018, riprende in tal senso uno studio fatto dal “Financial Times”. Ne emerge che dal 2000 al 2017 la pressione fiscale sui profitti delle grandi imprese mondiali sia scesa dal 34% al 24%. Nello stesso periodo le imposte delle persone fisiche sono aumentate del 6% in un contesto che inevitabilmente crea disuguaglianza sociale.

Abbiamo così abbozzato questo primo ragionamento circa una possibile via da percorrere per tentare di riformare il fisco in Italia, tralasciando altresi ulteriori temi specifici, come la web tax od i tributi comunali.

Va ribadito, tuttavia, che qualunque riforma tributaria non darà mai gli esiti sperati, se non poggia su leggi d’imposta condivisibili dai contribuenti, (“La giusta magistratura tributaria” di Luigi Einaudi) Solo a questa condizione potrà esserci il concreto rispetto, da parte dei contribuenti,  verso le istituzioni tributarie.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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