Patuelli: "Occorre una svolta di semplificazione"

- di: Antonio Di Meo
 
Le dichiarazioni del Presidente di Confindustria riportate in questo numero consentono di concentrarci sul grande tema dell’andamento congiunturale e, alla base, sullo stato dei rapporti banche-imprese dopo anni di crisi e di polemiche settoriali.

Le recenti statistiche sulla tendenza del Pil confermano un progressivo consolidamento dei segnali di ripresa in atto. Secondo la più recente stima preliminare Istat del prodotto interno lordo, nel secondo trimestre 2017 si è registrato un aumentato dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dell’1,5% rispetto al secondo trimestre 2016. Nel dettaglio la variazione congiunturale è sintesi di un aumento dell’industria e dei servizi, che hanno un andamento omogeneo, con i servizi che mantengono un tasso di crescita importante e di un calo dell’agricoltura. Dal lato della domanda, si registra un apporto positivo della componente nazionale e un limitato contributo negativo della componente estera netta. Ne consegue l’aumento tendenziale più alto registrato da sei anni. Per trovare un valore maggiore bisogna tornare al primo trimestre del 2011 quando l’incremento era stato del 2,1%. A questo quadro, come già ribadito, si aggiunge la revisione al rialzo delle stime di crescita per l’Italia da parte del Fondo Monetario Internazionale sia per l’anno in corso che per il 2018.

Se questo consolidamento venisse nel tempo confermato sarebbe imperativo non disperdere intanto un’occasione preziosa nella prossima legge di bilancio come affermato dal capo del Governo, Paolo Gentiloni, nel momento in cui ha indicato nel lavoro la “vera priorità” e nella prossima manovra “la sede per usare tutti i margini possibili di accompagnamento alla crescita”.

Ciò è tanto più imperativo, infatti, alla luce di ulteriori dati Istat che danno un incremento di 78 mila unità (+0,3%) rispetto al primo trimestre e di 153 mila occupati (+0,7%) sullo stesso periodo del 2016. È pur vero che parliamo di contratti precari per la maggior parte, quindi il grande tema irrisolto resta la stabilità del lavoro.

In ogni caso si tratta di uno scenario nuovo dopo un decennio di crisi e ad esso sembra contribuire una rinnovata convergenza e collaborazione tra banche e imprese per una competitività più efficace sui mercati internazionali.

Dall’Associazione Bancaria Italiana hanno evidenziato a più riprese “la capacità delle banche di aver realizzato profonde modernizzazioni realizzate con le sole proprie forze affrontando le conseguenze della crisi finanziaria d’oltreoceano, poi economica e produttiva in casa nostra, in una fase storica di infimi tassi di interesse: ristrutturazioni aziendali, interventi di patrimonializzazione e svalutazione, continui investimenti in tecnologia che hanno ridotto i costi di struttura rispetto al margine di intermediazione”.

Negli ultimi mesi, stando alle statistiche del rapporto mensile Abi, la grande zavorra delle sofferenze nette – cioè al netto delle svalutazioni già effettuate dalle banche con propri accantonamenti – è scesa a 65,8 miliardi di euro, in calo del 22% su base annua. Per il Presidente dell’Associazione, Antonio Patuelli un “crollo dell’ammontare che testimonia il forte impegno delle banche in Italia che continua e produrrà ulteriori riduzioni”. Impegno rilevabile anche nel resto dell’analisi sul sostegno all’economia con il risultato che a fine agosto i prestiti a famiglie e imprese sono in crescita dell’1,1% rispetto all’anno precedente, per un totale di 1762,1 miliardi.

Nel dettaglio, le attività manifatturiere sono quelle che ricevono più finanziamenti. L’analisi della distribuzione del credito bancario per branca di attività economica mette in luce come le attività manifatturiere, quella dell’estrazione di minerali ed i servizi coprano una quota sul totale di circa il 55,6% e la quota delle sole attività manifatturiere è del 24,6%. I finanziamenti al commercio, attività di alloggio e ristorazione detengono un’incidenza sul totale di circa il 21,2%, mentre il comparto delle costruzioni il 14,5% e quello dell’agricoltura il 5,2%. Il settore più dinamico si conferma quello dei mutui il cui ammontare totale è aumentato a luglio del 2,5% rispetto a un anno prima, quando già si manifestavano segnali di miglioramento. In questo quadro rientrano, infine, come segnale di fiducia i depositi bancari – suddivisi in conti correnti, certificati di deposito e i pronti contro termine – aumentati sempre al 31 agosto di 57,5 miliardi di euro su agosto 2016.

Ecco dunque quella che per il settore bancario sembra essere la nota dolente complessiva: ad oltre due anni dall’avvio dell’Unione bancaria, quello che doveva essere un grande traguardo europeo continua a restare un progetto incompleto e limitato alla sola Vigilanza unica. Mancano gli indispensabili Testi unici europei in ambito bancario, finanziario, dei diritti fallimentare e penale dell’economia.

In questo scenario trionfa la burocrazia mentre, al contrario, servirebbe una svolta di semplificazione a partire certamente dal “bail in”, ripensandolo ed evitandone ogni effetto retroattivo.

Secondo l’Abi nel corso della crisi le regole sono state importanti ed hanno aiutato a gestirla, oggi ciò che occorre non è avere meno regole ma una valutazione europea sugli elementi da semplificare e modificare per rendere più coerenti le azioni delle diverse autorità di vigilanza nella Ue. Un esempio su tutti “Basilea4” che si auspica abbia un processo sufficientemente graduale e non comporti ulteriori significativi aumenti di capitale. Per le banche italiane il quadro continua ad essere in movimento con il rischio di cambiamenti normativi e riferimenti poco chiari. Con le impostazioni attuali si rischiano altri 3-4 anni in cui sarà molto difficile pianificare l’attività bancaria e immaginare una focalizzazione sul business e una competizione sul mercato internazionale. C’è assoluto bisogno di una fase di stabilizzazione.
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