Elezioni 2022: tacciono (finalmente) i sondaggi, con FdI che vola
- di: Diego Minuti
Per fortuna da domani i sondaggisti smetteranno di fare sentire la loro voce e quindi cominceranno a sussurrare solo all'orecchio di qualche (interessato) committente. Scatta infatti, a due settimane dal voto, il silenzio per quanto riguarda i sondaggi, ritenuti capaci di condizionare chi ancora non ha deciso su quale parte della scheda disegnare la sua crocetta. Sul rispetto del divieto vigila l'Agcom, che comunque poco o nulla può fare per frenare le mille voci che, già da domani, cominceranno a circolare, sotto la voce ''sondaggi riservati'' che diranno tutto e l'esatto contrario, spesso a seconda di chi li ha commissionati. Quindi da domani dovranno essere silenziati sondaggisti e istituti statistici che, come accade negli ultimi decenni, nel periodo elettorale vivono un periodo d'oro, contesi - a suon di euro - da tv e giornali.
Tutti i sondaggi, con piccoli seppure significativi scostamenti, danno nettamente in testa Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia, ai quali qualcuno si spinge ad accreditare un robusto 25% peraltro ancora in crescita.
Fratelli d'Italia vola in vista delle Elezioni 2022
Una percentuale che dovrebbe fare sentire al sicuro la presidente di FdI che, pur confidando in un esito molto positivo del voto, è alle prese con una campagna elettorale frenetica che, per assurdo che possa sembrare, lei combatte su tre fronti: quello interno, per evitare che l'entusiasmo possa spingere qualcuno dei suoi a derogare alla linea della continenza verbale che lei ha imposto a tutti i Fratelli d'Italia; quello diretto, contro Letta, il duo Calenda-Renzi e i Cinque Stelle; quello laterale, perché, data per scontata la vittoria, non può da un lato umiliare gli alleati, così come non può, dall'altro, concedere loro più di quello che si meriteranno sul campo.
L'esempio più concreto è necessariamente quello della Lega che, sempre dando credito ai sondaggi, rischia di diventare la quarta forza in parlamento, scavalcata da quei Cinque Stelle che riguadagnano terreno tornando a cavalcare i temi a loro cari, quelli che raccontano che tutto il buono degli ultimi tre governi (Conte 1 e 2 e Draghi) lo si deve solo a loro e tutto il cattivo agli altri, ovviamente, negando anche evidenze clamorose.
Una Lega intorno al 12 per cento sarebbe un colpo durissimo per Matteo Salvini che comunque continua a comportarsi come se potesse sedersi - e non lo può fare, oggettivamente - al tavolo del post-voto in una posizione di forza, che è ormai uno sbiadito ricordo del passato. E nemmeno in Forza Italia se la passano meglio, con il rischio concreto che Batman e Robin (al secolo Carlo Calenda e Matteo Renzi) si avvicinino troppo, riuscendo nell'impresa di toccare quell'8 per cento che sarebbe, ammettiamolo, un successo clamoroso, viste le premesse all'inizio della loro avventura in tandem, tra alleanze siglate e stracciate nel volgere di un mattino.
Con Lega e Forza Italia ai minimi da anni a questa parte, Giorgia Meloni potrà imporre non solo i suoi uomini (o quelli di cui ha la massima fiducia, pur non essendo organici al suo partito), quanto la sua linea, che Salvini non sempre riesce ad accettare e metabolizzare.
Viste le premesse, è abbastanza scontato che a Salvini toccherà qualche ministero di peso, ma certo meno di quelli cui lui aspira, da lui considerati essenziali per sostanziare la sua linea tutta muscoli e ammonimenti. E comunque non è scontato che se anche Salvini andasse, ad esempio, al Viminale gli sarà consentito di replicare il canone seguito nella sua precedente esperienza e per un semplice motivo: Giorgia Meloni di tutto potrà avere bisogno, assumendo la guida politica del Paese in una contingenza drammatica, meno che un suo ministro faccia delle sparate propagandistiche che offuschino l'immagine del governo nel contesto internazionale, al cui giudizio lei tiene molto più di quello che gli alleati pensano.