Due leoni sul palco

- di: Claudia Loizzi
 
Il 46° Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia, che si svolgerà dal 20 luglio al 5 agosto 2018, dedica un ritratto ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella attraverso i loro spettacoli più recenti: 7 14 21 28, Fratto_X, Anelante, premiando la loro carriera artistica per il teatro con un Leone d’oro: lui, Antonio Rezza, un vero leone, pura energia fisica sulla scena, palco o strada che sia, per la voracità con cui potrebbe mangiarsi gli spettatori con un solo grido; lei, Flavia Mastrella, l’oro che plasma la scena e la fa risplendere in mille architetture e forme cangianti. Dalla loro sinergia sono scaturite rappresentazioni assolutamente innovative dal punto di vista del linguaggio teatrale. La loro carriera, iniziata nel ’87, è così ricca di sperimentazioni e attività artistiche da raccontare, che riassumerle con poche righe sembra quasi riduttivo: “Siamo sotto un fratto che uccide, si muore per eccessiva semplificazione” è uno dei leitmotiv del loro spettacolo teatrale Fratto_X!

Vi abbiamo visti impegnati in produzioni filmiche a corto e lungometraggio, mostre fotografiche, romanzi, opere teatrali, trasmissioni e micro metraggi in televisione per i quali avete già ricevuto molti premi importanti, ma il Leone d’oro alla carriera è una cosa diversa, che rappresenta per voi?
Antonio: è un premio che riceviamo insieme, rispetto a quanto fatto in questi 30 anni di lavoro, non abbiamo mai cercato premi istituzionali, ma questo riconoscimento ci fa molto piacere. Sappiamo che non cambierà la nostra indole, anche perché è da quando abbiamo iniziato che facciamo quello che vogliamo senza compromessi. Ed è un momento importante: ringraziamo Antonio Latella (Direttore del Settore Teatro per la Biennale) è stato lui a sceglierci per questo premio. In questo percorso siamo stati aiutati e osteggiati: aiutati dal pubblico, dai nostri fan e anche dalla critica che non ha mai potuto dire niente di negativo quanto al nostro potenziale innovativo. Per contro, un rapporto inesistente con le istituzioni.
Flavia: Non sappiamo ancora se sarà un’apertura verso nuovi orizzonti o un punto di arrivo. E’ un premio prestigioso e di cultura, che in Italia è un po’ trascurata, e non ce lo aspettavamo dato il nostro percorso poco istituzionale. Anche se penso che non siamo l’unica realtà che vive per l’arte, sono molte le persone che come noi fanno arte da 30 anni, ma ad un livello che è difficile conoscere.

Antonio Rezza è “l’artista che fonde totalmente, in un solo corpo, le due distinzioni di attore e performer, distinzioni che grazie a lui perdono ogni barriera, creando una modalità dello stare in scena unica, per estro e a tratti per pura, folle e lucida genialità” si legge nella motivazione di Latella per il premio, come si definirebbe Antonio Rezza?
Antonio: Sono uno che fa quello che vuole dalla mattina alla sera, è una dedizione al sacrificio. Faccio anche cose che non mi piacciono molto, è una devozione alla nostra causa. Noi stessi siamo la cosa più importante che ci sia. 

Gli Habitat e gli spazi scenici di Flavia Mastrella sono come delle forme d’arte, spazi che diventano oggetti, che ispirano vicende e prendono vita grazie alla forza performativa del corpo e della voce di Rezza. Come nascono?
Flavia: I miei Habitat sono stati ideati proprio per combattere l’estetica che ci viene imposta. Ho iniziato realizzando dei quadri di scena e poi sono approdata agli Habitat. Ogni Habitat è come un piccolo mondo, il mio rifugio dalla realtà alla quale però rimane legata attraverso molti agganci formali. In 7 14 21 28 l’habitat parla dell’abbandono dell’infanzia per diventare adulti: in scena c’è una altalena. In questo modo si parla alla parte inconscia, anche con l’uso di colori e con elementi della scena che si trasformano. Inoltre questo spettacolo è dedicato anche al ritmo: in scena è presente una tavola sonora. Il tutto a sottolineare l’abbandono dell’infanzia verso la gioia della vita libera assieme ai suoi impedimenti.

L’Habitat influenza lo spettacolo o lo spettacolo l’Habitat?
Flavia: E’ l’unione delle due cose. Nessuna delle due sovrasta l’altra, ma vanno entrambe nella stessa direzione. La nostra è una narrazione fatta di immagini e corpo, in cui la contraddizione è continua. La contraddizione è l’incubo della vita e vederla rappresentata un po’ rassicura. La nostra forza sono le persone che sentono tutto questo, lo capiscono anche se non lo sanno spiegare. Le parole, le immagini, il corpo con la sua vitalità e ansia motoria, diventano delle armi per uscire un attimo e vedere tutto dal di fuori o dal di dentro…

Vi muovete in vari ambiti delle arti visive: cinema, tv, e soprattutto Teatro. Come nasce il vostro processo creativo?
Antonio: Per ogni spettacolo c’è una ricerca profonda. Ci piace ogni volta fare una cosa bella, se è bella per noi, lo è anche per gli altri, in modo libero e indipendente e senza compensi statali. E’ per me importante riuscire a rinunciare ai soldi che arrivano dalla parte sbagliata. Se non sei comprabile, raggiungi un concetto di te più alto. Fortifico me stesso ed è una cosa che faccio da 30 anni. Non è possibile imitare noi, ma magari si può perseguire questa filosofia e crearsi una struttura mentale resistente alle lusinghe.
Flavia: nel mio percorso artistico, ho sempre ricercato qualcosa di diverso. Nell’82 sono rimasta un po’delusa dall’Accademia che ho frequentato, forse perché all’epoca avevo delle idee diverse rispetto alla realtà che mi circondava, era il periodo dell’ecologia degli animali impagliati (ndr: un tipo di arte contemporanea sviluppatasi dalla fine degli anni 70 che ha come oggetto animali imbalsamati o immersi in formaldeide tra i cui esponenti Hirst, Cattelan, Kounellis…), ma io volevo fare ricerca e lavorare con il corpo. Così l’incontro con Antonio è stato proprio un evento straordinario. Anche oggi, come allora, era difficile inserirsi, perché sono le accademie che formano i rapporti sociali dell’artista. Ci siamo trovati senza contratti, isolati ma anche sostenuti da personalità come Franco Quadri,il massimo del credito teatrale. Ci siamo fatti un auto cultura con la massima libertà. Siamo stati caratterizzati da una insolita determinazione. Il pubblico è stato fondamentale.

Infatti ogni spettacolo lascia un segno nel vostro pubblico, perché si ride molto, certamente, ma la vostra performance è anche una secchiata di acqua gelata in viso, a volte scuote dal profondo e in ogni caso non lascia indifferente, che rapporto avete con il pubblico?
Antonio: Il pubblico è energia, è il nostro propellente attivo con il quale si è creato un legame indissolubile.
Flavia: Il pubblico è stato fondamentale per il nostro sostegno, e anche noi nel nostro percorso abbiamo pensato più al pubblico che a coniare una teoria a priori. Noi siamo diretti verso le persone. E’una forma di spettacolo catartica che si fonda sull’individuo. La forza comunicativa è per chi guarda, e c’è meno compiacenza rispetto alle tematiche del momento. Siamo meno concentrati sull’attualità e più sul mistero umano in assoluto (ndr: per questo ogni loro spettacolo può esser visto anche dopo 10 anni ed è sempre attuale).

E’ un pubblico trasversale ed eterogeneo, composto da giovani a meno giovani, ma anche di nazionalità diverse, e che non può essere definito più “di nicchia”.
Antonio: Si, anche perché di nicchia rispetto a cosa?
Flavia: Sono persone impagabili che ci hanno sempre seguiti ovunque. Tra l’altro siamo stati a Madrid con Pitecus tradotto in spagnolo; a Mosca invece con 7 14 21 28 fu molto divertente perché, avvalendoci della traduzione simultanea, la gente rideva 3 secondi dopo!

Avete già in mente il prossimo spettacolo teatrale?
Antonio: Si, ci stiamo lavorando, per debuttare alla fine del 2019. Flavia: Occorre però azzerare tutto ciò che abbiamo fatto prima e trovare uno spunto per un’altra ricerca.

 Con La Tegola e il caso andato recentemente in onda su Rai 3, siete entrati fisicamente nelle case delle persone, rendendo quelle abitazioni dei micro studi teatral-televisivi e gli abitanti attori della scena. Una interazione tra tutti, una narrazione a metà tra spettacolo, gioco e intervista. Che ne pensate di questa vostra esperienza?
Antonio: Era un progetto che si trovava sul tavolo da 15 anni ed è grazie a Stefano Coletta (Direttore Rai3), e anche a Daria Bignardi (ex Direttrice Rai3), che siamo riusciti a presentarlo in tv, e per il quale abbiamo avuto massima libertà. La tv non è un punto di arrivo, né di partenza, è una esperienza da fare quando si ha qualcosa da dire ed è un ulteriore mezzo comunicativo. Il pubblico che si raggiunge è più ampio, se proporzionato a quello teatrale, quindi è difficile resistere alle sue lusinghe, perché è inevitabile che cambi il rapporto tra te e quello che il pubblico vede di te. Ma non si può, pur di rimanere in tv, fare qualsiasi cosa venga chiesto, sarebbe sbagliato.
Flavia: E’ stata una esperienza straordinaria per la tenerezza che abbiamo ricevuto. Le persone si sono date volentieri, hanno voluto giocare con noi. Abbiamo tutti condiviso uno spazio comune, tutti in una unica stanza: fonico, attori, autori riprese. Con la camera che non si spegne mai, è stato tutto molto naturale ed è stata facilitata anche l’improvvisazione, proprio dalla costrizione delle persone in questo unico spazio di ripresa continua.

Ho notato che siete stati tra i primi ad avvalervi della comunicazione in rete per tenere informato il vostro pubblico sulle vostre produzioni. Che rapporto avete con la tecnologia?
Flavia: Per la comunicazione, ci siamo avvalsi inizialmente delle mailing list e poi anche dei social. Siamo stati consigliati proprio da uno dei nostri fan affinché potessimo raggiungere più persone possibili. In fondo la tecnologia serve a superare certe lobbies! Lavorando con le immagini e la comunicazione, era naturale che sarebbe successo. Abbiamo iniziato a fare le riprese per i nostri film in VHS, e per un breve periodo di transizione abbiamo anche usato un supporto Digital High Eight, poi superato da quelli interamente digitali. Ogni volta che cambiavamo supporto cambiavano tutti i parametri, ad esempio anche la luce era diversa, ma in generale abbiamo sempre sentito l’esigenza di avvalerci della tecnologia del momento.
Il Leone d’oro assegnato a Rezza e Mastrella dimostra finalmente che le istituzioni ad un certo punto si accorgono involontariamente di certi talenti. Le persone, il pubblico, ci sono arrivate prima, premiandoli già con la loro presenza assidua e disincantata come dice sempre Antonio Rezza!
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