Dove va il petrolio?

- di: Fabio Verna
 
Circa dieci anni or sono, era l’estate del 2007, quando i mercati finanziari non erano stati ancora investiti dalla più veemente crisi occorsa dagli inizi del secolo, esplosa poi l’anno seguente e definita dei mutui “subprime” ricevetti una troupe di un’importante testata radiotelevisiva, per tentare di formulare delle previsioni sull’andamento economico del nostro paese, sulla imminente presentazione al Parlamento della Legge finanziaria e sul perdurare del dissesto della nostra compagnia di bandiera: l’Alitalia; operazione di salvataggio poi tentata da un gruppo di “capitani coraggiosi” indubbiamente tutti imprenditori di successo nelle attività a loro direttamente riconducibili, ma impreparati alla gestione di un grande vettore aereo, che per altro portava sulle spalle il peso dei tanti pregressi esercizi contabili in perdita.

Dialogando sulla scottante questione dell’Alitalia, da me poi attentamente seguita nei mesi successivi in prima persona, si arrivò alla imprescindibile domanda: “dove va il petrolio”? Questa gravosa voce dei costi nei conti della compagnia di bandiera, in realtà coincideva, e coincide anche attualmente, con uno dei capitoli di spesa che maggiormente appesantisce la nostra bilancia dei pagamenti, in sintesi sui costi della bolletta energetica. In quei giorni le quotazioni del greggio nei diversi mercati dove principalmente viene trattato, o dei “futures” sui contratti di fornitura, dopo alcuni rialzi fisiologici, stagnavano a valori medi approssimativamente apprezzabili intorno ai 60 dollari al barile. La domanda dunque era tanto scontata quanto complessa nella sua risposta, in quanto a mio modesto avviso il prezzo del petrolio non dipendeva allora, e non dipende ancor oggi solamente dalla sua contrattazione, ma anche dalle pressioni politiche che taluni stati sovrani pongono in essere per affermare talune ingerenze.

Dunque in quel frangente a telecamere aperte, risposi alla domanda del mio intervistatore: “dove va il petrolio” con una battuta provocatoria, ma in realtà solo parzialmente tale e dissi: “il petrolio andrà all’incirca a 100 dollari al barile con la fine dell’anno”. Il giornalista alla fine del servizio, giustamente perplesso dal notevole incremento espresso nella mia previsione, scelse di chiamare la sua redazione per domandare se rifare da capo almeno l’ultima parte dell’intervista, ma il Direttore dopo aver chiesto se l’intervista nel suo complesso fosse andata positivamente ed avendone avuta conferma concluse dicendo: “casomai sarà Verna ad assumersi l’onere delle sue parole”.

Passarono solo pochi mesi quando una mattina ricevetti una telefonata dal Direttore che aveva comunque fatto mandare in onda la sopra ricordata intervista, dicendomi in romanesco col suo vocione: “ma come hai fatto ad indovinare, hai delle fonti che non conosco”? Io avevo immaginato il motivo della sua chiamata sin dal momento in cui rispondendo, avevo letto il nome sul display del cellulare, infatti il giorno prima, il 21 novembre, il prezzo del petrolio aveva fissato un record a U$97,05 per un barile di Brent (il greggio estratto nel Mare del Nord) glisssai dunque la risposta, ma gli confermai la mia previsione, confermata poi il successivo 3 gennaio 2008, quando a New York il prezzo del greggio WTI si fissò a U$ 100,09 superando così la soglia psicologica dei da me intuiti 100 dollari.

La corsa del petrolio continuò sino al successivo luglio 2008 dove il greggio raggiunge un altro suo massimo storico a oltre 140 dollari al barile, anche se avrebbe poi provveduto la già citata crisi dei mutui “subprime” a ridimensionarne il prezzo e successivamente a condisionarne la discesa.

La crisi nel frattempo divenne sistemica, il “default” della Lehmann Brothers, il 15 settembre del 2008 non segnò solo il fallimento della quarta banca d’affari degli Stati Uniti, ma la fine di un sistema che già da tempo stava per deragliare e che a tut’oggi tenta con fatica a ritrovare i giusti binari.

Grandi masse monetarie si spostarono negli anni successivi nel sud est asiatico e nuovi “players” di valenza internazionale si posizionarono sui mercati. Il prezzo del petrolio intanto continuava a scendere sino a valori intorno ai 35/40 dollari circa. Oggi il prezzo del Brent sul mercato londinese si attesta a U$ 57,51 in lieve rialzo, dunque siamo tornati ai valori da me ricordati nel mio aneddoto iniziale, anche se durante gli ultimi mesi abbiamo assistito ad una giostra dei prezzi. Dunque come anni addietro sarà la situazione geopolitica ad influenzare le quantità estratte e le conseguenti emissioni di contratti “futures” eventi come la disastrosa situazione economica interna del Venezuela, con le enormi difficoltà per dare la corretta manutenzione alle stazioni di pompaggio; i costanti furti che danneggiano le “pipeline” in Nigeria; la costante ricerca sul nucleare portata avanti dal governo iraniano; l’incidenza delle esportazioni del petrolio saudita, sono solo alcuni dei fattori che incidono fortemente sull’andamento dei prezzi del petrolio.

Poi possiamo e dobbiamo aggiungere altre due importanti variabili: il grandissimo fabbisogno energetico della Repubblica Popolare cinese ed ancora i venti di guerra provocati da Kim Jong-un. Ma mettiamo da parte i “rumors” e torniamo ai numeri che pur tenendo conto dei tanti fattori esterni, restano da anni il mio mestiere; dunque il prezzo del greggio, a mio modesto avviso, resterà negli ultimi mesi dell’anno in corso su prezzi sostanzialmente stabili, in un “range” tra i U$55 ed i U$60 al barile, con le lievi differenze che da sempre esistono tra il Brent ed il WTI, infatti i grandi fondi speculativi sono quasi tutti su posizioni lunghe e dunque da quel lato i mercati non si attendono sorprese, anche la politica espansiva del Presidente Trump, vocata ad un maggior utiizzo delle scorte interne, non fa ipotizzare la riapertura di vecchi pozzi considerati scarsamente convenienti o la ricerca di nuovi giacimenti.

Ma “l’oro nero” resta una delle leve che maggiormente possono influenzare i mercati internazionali ed il suo prezzo deve e dovrà essere sempre monitorato costantemente.
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