Diritto d'autore e libertà di informazione

- di: Claudia Loizzi
 

Il 12 settembre 2018 il Parlamento Europeo ha approvato la nuova direttiva per aggiornare le regole sul diritto d’autore in ambito digitale per tutta l’Unione Europea.
Partendo dal presupposto che la regolamentazione del diritto dovrebbe esser volta alla tutela dell’autore stesso nelle sue opere di ingegno e creatività, con la diffusione sempre più capillare in rete di informazioni e contenuti, sin dal 2001 l’Unione Europea ha iniziato a regolamentare tale settore con una prima direttiva. Da allora il mondo di Internet è mutato profondamente, tanto da rendere necessario un aggiornamento. L’attuale direttiva sul copyright del 2018 è una risposta a questa necessità.

I cambiamenti tutt’ora in atto nel mondo Internet sono enormi: il modo nuovo di fruire di musica e cinema attraverso piattaforme come Spotify o Netflix, l’avvento preponderante dei Social Network attraverso i quali gli utenti si scambiano ogni sorta di materiale informativo e audio visivo, l’uso quotidiano di motori di ricerca per informazioni di ogni genere.
Anche l’Unione Europea ha dovuto provvedere a dare uniformità legislativa a tale fenomeno in continuo mutamento che vede in scena molti protagonisti: le grandi piattaforme come Google o Facebook, i grandi editori, i giornalisti, gli autori o artisti di opere e produzioni audio video, gli utenti finali.
L’idea iniziale, sulla quale sono tutti d’accordo, è certamente tutelare il diritto d’autore e che esso venga pagato sempre, anche sulla rete. Più complessa la modalità con la quale metterla in atto, visto da una parte l’ingente quantità di introiti derivanti dalla massa di informazioni scambiate nella libera rete attraverso le piattaforme online, e dall’altra applicare tale tutela al mondo del Web sempre contrario a “controlli” di ogni tipo.
Nella prima stesura della direttiva sul Copyright di luglio 2018, ci sono stati in particolare due articoli – l’11 e il 13 – ad aver acceso una vera e propria controversia anche all’interno degli stessi schieramenti politici. 
Questa divisione ha creato uno schieramento che considera la regolamentazione di questi articoli poco chiara ed interpretabile in maniera troppo ampia e creativa.
Insomma è stato percepito da una certa parte politica e anche dall’opinione pubblica, un vero e proprio rischio per la libera diffusione delle informazioni online.
Dall’altra parte invece da tempo gli editori lamentano di subire uno sfruttamento dei propri servizi informativi da parte di piattaforme online, come Google e Facebook, a fronte di nessun compenso economico.

Il principale accusato è Google news - chi di noi non l’ha mai utilizzato - il più grande aggregatore di informazioni che dispone nella sua pagina di un elenco di notizie (Snippet: titolo della notizia con un suo breve estratto) che avvantaggia Google arricchendo il suo business di Big data ma che non porta vantaggi economici all’editore nel caso in cui l’utente, una volta letta la notizia, non clicchi sul Link per approfondire lasciando la pagina di Google news.
Per contro le piattaforme dichiarano di essere invece un’ottima vetrina per gli editori, considerato che il loro traffico arriva in buona parte dalle anteprime pubblicate sui social network o nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca attraverso il Link che rimanda appunto all’articolo originale.
La direttiva Europea di Luglio 2018 sull’ Articolo 11 fa pendere l’ago della bilancia a favore degli editori, asserendo che ogni Stato membro debba assicurare agli editori una remunerazione “equa e proporzionata per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione”,  cioè le piattaforme online di Internet.
Con l’emendamento all’Articolo 11 della direttiva del Settembre 2018 sostanzialmente la situazione è rimasta simile, si è ritenuto opportuno continuare a favorire più gli editori che le piattaforme.
L’emendamento all’Articolo 11 ha solo specificato i limiti a tali tutele: come ad esempio nel caso di utilizzo privato e non commerciale delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di singoli utenti, o di piattaforme dedicate alla conoscenza condivisa, come Wikipedia o altre enciclopedie o biblioteche online.
Inoltre sono stati esclusi dall’articolo anche servizi di cloud, i portali di commercio elettronico per vendita di dettaglio di beni fisici, le start-up e gli operatori che abbiano un massimo di 250 dipendenti, tranne in caso di reclamo specifico da parte degli utenti.
L’Articolo 13 ha creato maggiori tensioni riguardo alla libera circolazione delle informazioni e dei contenuti.
“I prestatori di servizi di condivisione di contenuti online svolgono un atto di comunicazione al pubblico. Essi concludono pertanto accordi equi e adeguati di licenza con i titolari dei diritti.”

L’Articolo 13 ha trovato nelle etichette discografiche, nelle associazioni degli autori e nelle major del cinema i principali sostenitori perché tutela gli autori. Era assolutamente necessario fare chiarezza in questo settore, la libera circolazione di idee e creatività, informazioni e contenuti è alla base dello spirito della rete, è vero, ma questo non deve essere una scusa per ogni tipo di abuso. La  libertà finisce e deve finire laddove inizia il diritto alla mia creazione che è il mio lavoro. Il diritto d’autore si traduce in un beneficio economico per chi con professionalità e impegno ha realizzato l’opera, l’articolo, il film, la canzone. E’ un diritto inalienabile e va tutelato in ogni contesto. Ben vengano quindi delle regole che consentano una fruizione intelligente, come già accade con Spotify o Netflix, dove, a fronte di un piccola quota, si ha la possibilità di accedere a una enorme quantità di musica e cinema, senza bisogno di andare su siti pirata. E come stanno già facendo le maggiori testate giornalistiche, la cui l’informazione online è sempre più frequentemente a pagamento. Se una piattaforma online vuole mettere tra i suoi servizi l’informazione giornalistica professionale, e da questo ne trae un vantaggio economico, è giusto che debba pagarla.
Nell’articolo 13 quindi, ogni prestatore di servizio online deve stipulare un contratto di licenza con case editrici, cinematografiche e discografiche affinché sia possibile la pubblicazione di materiale protetto da copyright.
Sarà onere dei fornitori di servizi e delle piattaforme vigilare che non ci siano violazioni di Copyright. Forse questo passaggio sarà un po’ più complicato, per esercitare un controllo su tutto quanto viene caricato dagli utenti si dovrebbe utilizzare una tecnologia, “content ID” già usata da YouTube, che risulta costosa e non così efficace da poter essere adottata su ogni piattaforma. Per chi teme la censura a parodie, citazioni, montaggi, meme, tutto ciò che riguarda rivisitazioni, rielaborazioni di opere coperte da Copyright, ci sono delle deroghe con regole che saranno sempre più definite.
Il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva di riforma del Copyright e adesso passerà al vaglio dei negoziati tra istituzioni europee e Stati membri. Non è automatico che possa essere adottata se uno o più Stati vi si oppongono. 
La strada è molto lunga perché la direttiva non sarà legge nei singoli Paesi dell’Unione prima del 2021. Per la tecnologia, che è in evoluzione continua, 3 anni sono un’infinità e probabilmente le regole dettate oggi in modo così dettagliato forse per quel momento non saranno più valide o sufficienti, ma un riassetto della questione era quanto mai necessario.

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