Governo: la "Dottrina Draghi" esiste già

- di: Diego Minuti
 
Prima ancora che le forze politiche (quelle ancora - leggi Cinque Stelle - che non hanno ufficializzato la scelta di appoggiare o no Mario Draghi, subordinandole a consultazioni-burla della base, e quelle che, invece, lo hanno già fatto), è il Paese ad aspettare che l'ex presidente della BCE spieghi come vuole muoversi, quali siano le cose che per lui sono prioritarie per chiudere questa lunga stagione di crisi.
Ma forse la "dottrina Draghi" esiste già, perché Mario Draghi - che non è mai tipo che parli al di fuori delle occasioni ufficiali - di discorsi sulle sue idee ne ha fatti ed alcuni anche molto chiarificatori.

Come quello che, quasi trent'anni fa, fece in occasione di un evento, organizzato dall'Ambasciata britannica: si trattava di una conferenza sul tema delle privatizzazioni, materia che Draghi, all'epoca direttore generale del Tesoro, doveva maneggiare quotidianamente. Dal testo del suo intervento (che data 2 giugno 1992) emergono alcuni elementi che, allora come oggi, spiegano molto.
Come quando disse che un'ampia privatizzazione "scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi cinquant’anni, induce un ampio processo di deregolamentazione, indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante". Affermazioni che restano interessanti anche oggi perché è proprio sul tema delle privatizzazioni e di come esse siano state condotte in Italia che da qualche parte sono state sollevate critiche a Draghi, che fu oggetto di feroci appunti, al limite degli insulti, da parte di Francesco Cossiga, non più presidente della Repubblica, ma ancora "picconatore" a tempo pieno.

Ma cos'era la privatizzazione agli occhi di Mario Draghi, almeno nel 1992?
Individuata originariamente come uno strumento per incidere sul deficit di bilancio, la privatizzazione "non può essere vista come sostituto del consolidamento fiscale, esattamente come una vendita di asset per un’impresa privata non può essere vista come un modo per ridurre le perdite annuali. Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit".

Quando uno Stato cede i "gioielli della corona", quindi, deve mettere in conto la perdita di futuri introiti, ma può ridurre debito complessivo. Ed è qui che le parole di Draghi suonano molto interessanti anche oggi, per cercare di capire come si muoverà per cercare di cominciare a prosciugare la palude in cui è il nostro debito: "Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit, solo come il suo finanziamento".
Attenzione anche alla visione che Mario Draghi, almeno da Direttore generale del Tesoro, aveva dei piccoli azionisti, vero termometro della salute economica di un Paese.
Sempre parlando di privatizzazioni, Draghi sostenne che il loro l’impatto sui mercati finanziari può essere importante, pensando che "la quantità di ricchezza privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo".
Ma per il Draghi del 1992 "i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati".

Interessante, alla luce della situazione attuale, le considerazioni di Mario Draghi sul futuro delle aziende privatizzate: "In alcuni casi, per trarre beneficio dai vantaggi di un aumento della concorrenza derivante dalla privatizzazione, potrebbe essere necessaria un’ampia deregolamentazione. Questo processo, se da una parte diminuisce le inefficienze e le rendite delle imprese pubbliche, dall’altra parte indebolisce la capacità del governo di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione e la promozione dello sviluppo regionale".
L'attenzione per i piccoli azionisti è confermata anche in un altro passaggio dell'intervento di Draghi, quando sostenne "l’esigenza di accompagnare la privatizzazione con una legislazione in grado di proteggere gli azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazione tra gli azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e straordinarie".

Quindi, agli occhi di Mario Draghi, "la privatizzazione è una delle poche riforme nella vita di un Paese che ha assolutamente bisogno del contesto macroeconomico giusto per avere successo. Lasciatemi sottolineare ancora che non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni. Dovremmo realizzarle insieme. Di certo, non possiamo avere le privatizzazioni senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà parte di ogni programma di governo".
Quindi, riforme e totale adesione all'Europa. Un doppio obiettivo che vale oggi come ieri.

Il discorso integrale di Mario Draghi, datato 2 giugno 1992, è consultabile qui.
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