Crisi: parte la roulette russa, chi dobbiamo ringraziare?

- di: Diego Minuti
 
La salita al Colle di oggi di Giuseppe Conte sancisce la riuscita dell'operazione avviata da Matteo Renzi, che, pur concedendogli molte e fondate contestazioni all'operato del Governo, è forse andato ben oltre quelle che erano le sue aspettative e, soprattutto, le sue intenzioni.

Ora tutto è nelle mani del presidente della Repubblica che dovrà dare ennesima conferma del suo equilibrio e del senso delle Istituzioni che ha mostrato sin dal suo insediamento.
Ma non sarà facile per Sergio Mattarella districarsi nella giungla di paletti che Conte, da un lato, Renzi dall'altro, Pd, Cinque Stelle e Leu dall'altro ancora, gli hanno eretto intorno, quasi a volere rendere ancora più difficile la sua opera di mediazione non tra partiti, ma tra l'esigenza della stabilità politica e la disperata necessità del Paese di uscire dalla palude in cui è stato fatto precipitare.
In passato il nostro sistema ha fatto da base a decine di crisi politiche, che spesso nascevamo da contrasti personali, ma mai, come quella attuale, erano state fatte deflagrare per motivi che ancora restano oscuri, per il solo motivo di essere incomprensibili. E se si guarda alle scadenze che l'Italia è chiamata ad onorare nei confronti dell'Europa, almeno questa volta erogatrice di speranze, c'è da pensare che il tunnel per uscire dalla crisi sia ad elevatissimo rischio, una roulette russa in cui, però, c'è solo un posto libero nelle camere di scoppio, mentre tutte le altre sono caricate con proiettili capaci di mandare a gambe all'aria la legislatura.

Ipotesi questa che è fortemente caldeggiata dal centrodestra, da cui però ci si aspetterebbe il classico colpo d'ala che ne attesti la capacità di governare e non solo di contestare tutto quello che viene dal governo.
È una crisi che, come spesso accade, ha più d'un padre.

Perché se è vero che è stato Matteo Renzi ad aprirla ufficialmente, ritirando la delegazione di Italia Viva dal Governo ed istituzionalizzando la spaccatura della maggioranza, è altrettanto vero che a Giuseppe Conte è mancata quella buona dose di realismo che ci si aspetta sempre da uno statista. Ma, come andiamo ripetendo da tempo, tutto è Giuseppe Conte fuorché uno statista perché se lo fosse stato avrebbe dovuto disinnescare le turbolenze renziane ben prima che sfociassero nella crisi, avrebbe dovuto capire in anticipo che non valeva la pena fare a gara a chi aveva il naso più lungo (oddio, la similitudine sarebbe un'altra, ma è meglio evitare di cadere nella volgarità). Sarebbe stato sufficiente sedersi veramente attorno ad un tavolo è trovare un punto d'accordo ben prima che la crisi si manifestasse. Cedere su alcuni punti, quando ormai Renzi aveva urlato la sua rabbia contro il premier, è stato un gesto tardivo e che ha tradito una cultura politica appena abbozzata.

Ma di colpe ne ha anche il Partito democratico che doveva - non poteva, ma proprio doveva - fare valere il suo peso per mettere in riga due soggetti che si sono comportati da galletti e non da servitori dello Stato.
La difesa d'ufficio ufficiale che il Pd ha fatto di Conte sin dal primo manifestarsi della fronda di Italia Viva è stato un cattivo servizio al governo, perché non ha avuto la capacità di ammettere, dicendolo chiaramente, che Conte ha sovrastimato la sua statura di leader, distinguendosi per una visione accentratrice e dimenticando che certe scelte non si notificano, ma si condividono. E, partendo da questo, avviare una azione di coesione, soprattutto alla luce dei prossimi impegni con l'Ue.

E poi c'è il cuore del problema, ovvero che il Parlamento attuale non rispecchia politicamente il Paese, essendo stato, come sempre accade, condizionato dai passaggi da questo a quel gruppo, ma anche dall'esito di recenti consultazioni elettorali, che hanno dato dell'orientamento degli italiani un indirizzo che poco ha a che fare con la composizione delle Camere. Ma, anche se reduce da dure sconfitte in fila, i Cinque Stelle sono ancora la forza maggioritaria in Parlamento e quindi hanno diritto di farsi valere, ma non possono certo ignorare che le più recenti elezioni ne hanno dimezzato i consensi. Eppure sono ancora lì ad imporre un "Conte o elezioni" che appare censurabile, ad un passo dal suicidio politico perché, andare oggi alle urne, porterebbe il movimento ad un drastico ridimensionamento.

Ora, quindi, tutto passa per il Quirinale, che si imporrà certamente tempi strettissimi, quasi costretto a fidarsi delle cose che Conte dirà e che probabilmente si possono anticipare in una fondata fiducia di riuscire a raccogliere una maggioranza organica. Sarà così? Vedremo, mentre il tamburo della pistola della crisi ruota.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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