Sbarchi: un rebus politico giocato tra accoglienza e rigore

- di: Diego Minuti
 
In Italia, in questi mesi, si sta giocando su più tavoli un durissimo scontro politico, mentre su altri (i famosi 49 milioni della Lega spariti; il caso della presunta trattativa russa che ha avuto come protagonista il leghista Savoini; le vicende di Bibbiano e ci fermiamo qui) sembra essersi depositata una polvere sospetta, che però potrebbe essere spazzata, in via giudiziaria, da un momento all'altro.

Gli argomenti su cui tra maggioranza ed opposizione sembra ci sia guerra totale si possono ridurre, almeno limitatamente a queste ore, alla gestione delle emergenze Covid-19 e sbarchi di clandestini. Mettiamo da parte, per il momento, la delicatissima situazione determinata dalla pandemia e guardiamo al problema dell'immigrazione irregolare sui cui parrebbe si stia giocando una partita in cui i disperati (o presunti tali) che arrivano sulle nostre coste sono il pretesto per portare avanti una guerra politica di posizione, destinata a durare chissà quanto, posto che, allo stato attuale delle cose, appare irrisolvibile.

Gli arrivi di clandestini, al di là di quello che si dice dalle parti del governo, sono un problema reale e dalle diverse sfaccettature, cosa che lo rende ancora più complesso. Innanzitutto la percezione della diminuita sicurezza personale determinata da migliaia di irregolari che, una volta arrivati sulle nostre terre, si annullano, entrando in una sfera di invisibilità da cui è ben difficile farli uscire.

L'affollamento degli hot spot è un dato di fatto, di chiarissima evidenza e di difficile soluzione (come dimostra la sortita del presidente della Giunta siciliana, Musumeci, che si è attribuito competenze che non gli appartengono) . Ma e' una parte del problema che, a monte, vede la condizione a cui aspira chi arriva clandestinamente, quella cioè di vedersi riconosciuto una status che, nei fatti, non merita.

Il pensiero va a coloro che arrivano, rischiando la vita, da Paesi che non rientrano nel novero di quelli afflitti da eventi bellici o di terrorismo e che invece chiedono di essere accolti (alcuni anche forse pensando di essere assistiti e sostenuti economicamente) come se sfuggissero alla violenza.
L'esempio che più di frequente viene fatto è quello della (a noi) vicina Tunisia, da cui partono, ininterrottamente, barche, barconi e barchini carichi di gente, in gran parte giovanissimi soli e, per questo, disposti a tutto. Meritano, queste persone, di essere accolte come se fossero in fuga dalla violenza?

No, perché, detto brutalmente, se così si decidesse, come si potrebbe dire di no a quelli che potrebbero arrivare da Marocco, Algeria, Egitto, ma anche Bangladesh, Pakistan? Non è come quando si tira in aria una moneta vedendo quale faccia mostrerà, farli entrare o no. Il problema riguarda la nostra (come Paese) coscienza, se cioè dobbiamo voltare la testa dall'altra parte davanti alla povertà come molla all'emigrazione clandestina o essere così forti e convinti da attuare protocolli molto più rigidi nella valutazione delle richiesta di asilo politico o di riconoscimento del profilo di profugo. E conseguentemente essere pronti a massicci programmi di espulsione, che non possono prescindere da molto più spedite procedure di valutazione della condizione dei singoli richiedenti.

Ecco, il problema è questo, non certo quello sbandierato dal capitan Fracassa di turno di difendere i confini nazionali: occorre decidere, e soprattutto presto, sino a che punto la nostra coscienza, ma soprattutto il sistema Stato (in assenza dell'Europa, vergognosamente ancora una volta defilatasi), può autorizzarci ad una visione solidaristica in cui il dovere di accoglienza prevale su quelli della sicurezza (o della percezione di essa) e della sostenibilità economica di una politica di 'porti e braccia aperti'.

Poi, però, c'è la politica che obnubila le menti, se è vero che, ancora oggi, c'è chi chiede a gran voce un blocco navale, applicabile solo come atto di guerra. E non mi pare che il governo Conte potrebbe essere sedotto dall'idea di espugnare il castello di Cartagine solo per fare propria questa idea balzana. A meno che i testi compulsati da chi vuole che nostre navi da guerra vengano dispiegate lungo il canale di Sicilia siano diversi da quelli che conosciamo.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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