Chi è Andrea Segre?

- di: Claudia Loizzi
 

Regista e documentarista italiano, un curriculum ricco di successi e riconoscimenti, Andrea Segre ha scritto e diretto numerosi documentari e lungometraggi: Io sono Li (2010), La prima neve (2013), Come il peso dell’acqua(2014) e I sogni del lago salato (2015). Al telefono ha una voce giovanile, ma profonda, che subito mi spiazza “Io non ho studiato cinema, il mio interesse per le migrazioni verso l’Europa è nato sul campo quando ero dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione presso l’Università di Bologna”.

Come è diventato regista?
“Viaggiando in direzione contraria ai flussi migratori, ho cercato di comprendere le storie delle persone e i luoghi di provenienza. Inizialmente ho raccontato la realtà, prima attraverso documentari e poi come regista.
Grazie a ottimi collaboratori ora sono al terzo film “L’ordine delle cose” che reputo possa essere una sintesi di ragionamento del percorso fatto.”
Corrado, il protagonista del film, è un alto funzionario del Ministero degli Interni, chiamato ad applicare la ragion di stato per risolvere una delle più complesse spine nel fianco delle frontiere europee: i viaggi illegali dalla Libia post-Gheddafi verso l’Italia.
Corrado non è solo un funzionario, è anche un uomo che infrange una delle principali regole di autodifesa per chi lavora al contrasto dell’immigrazione: mai conoscere nessun migrante, considerarli solo numeri.  Incontra una donna somala che gli chiede aiuto per scappare dalla detenzione libica e raggiungere il marito in Europa. Dal primo istintivo gesto di generosità nasce tra i due un canale di collegamento, inevitabile ma pericoloso per la realtà libica.

Un thriller impegnato, capace di tenere alta la tensione dal primo all’ultimo minuto e di far riflettere su un argomento di strettissima attualità, da cosa nasce “L’ordine delle cose”?
“La mia non è mera sensibilità, ma una reale preoccupazione nei confronti della nostra società sempre più convinta che per sopravvivere occorra fare del male, per seguire la logica della ragion di stato. La società versa in una condizione storico-esistenziale molto preoccupante, in cui la ragion di stato per proteggerci è disposta a violare i diritti delle persone e loro stesse. Da una parte ci viene proposto il problema dei migranti soltanto da un punto di vista umanitario, che però è una distrazione verso il problema stesso. Dall’altra invece, sui migranti, si paventa una deriva razzista di chiusura estrema. Secondo me il problema necessita piuttosto di essere ridefinito e considerato in una prospettiva di lungo termine.
I diritti sono diritti ovunque ci si trovi. Potrebbe anche accadere il contrario, che tutti quei giovani che oggi  hanno la possibilità di emigrare per trovare un lavoro migliore o soltanto vivere altrove, non potrebbero più farlo se questa logica si ribaltasse su di noi. Ci fermiamo a fare dibattiti sterili su quante persone fare entrare o meno, e in ogni caso si parla solo del Mediterraneo: il numero di persone che entrano da lì è ridicolo se paragonato al flusso per esempio delle persone che sbarcano a Fiumicino tra le quali molte faranno scadere il visto di ingresso.
Ma si parla solo del Mediterraneo perché accettiamo che le nostre decisioni dipendano dalla visibilità mediatica”.

Rispetto ad altri film che trattano di questa tematica, “L’ordine delle cose” segue una traiettoria narrativa che vuole far ragionare sul problema in termini diversi.
“Sì, il film non parla di immigrazione ma è piuttosto focalizzato sul rapporto attuale tra etica e ragion di stato. Credo che quella di Corrado (il protagonista) sia la condizione di molti di noi in quest’epoca che sembra aver metabolizzato l’ingiustizia. Abdichiamo ai nostri principi, negando diritti e libertà a esseri umani fuori dal nostro spazio, ma proviamo a non dircelo o addirittura a esserne fieri.  La tensione tra Europa e immigrazione sta mettendo in discussione l’identità stessa dell’Europa. È questa crisi che mi ha guidato eticamente ed esteticamente nel raccontare il mondo di Corrado, un mondo tanto rassicurante quanto inquietante”.

Come tenere insieme la legge di Stato e l’istinto umano di aiutare qualcuno in difficoltà?
“Ho cercato in lui, nel suo ordine e nella sua tensione emotiva, quelle della nostra civiltà e del nostro tempo. Corrado è un cittadino che vede allo stesso tempo le ingiustizie del mondo e la propria impotenza di fronte ad esse, ciò nonostante cerca di reagire alla ragion di stato e la sua crisi sempre più intensa si insinua pericolosa nell’ordine delle cose”.

La critica ha molto apprezzato il suo lavoro.
“Sì, sono rimasto molto colpito dal modo con cui se ne è scritto. Ci sono stati critici di alto livello e giornalisti che si sono sentiti richiamati ad una responsabilità, di parlare seriamente del lavoro presentato. E’ proprio quello a cui ambiva il nostro gruppo: compiere un lavoro accurato non solo dal punto di vista estetico narrativo ma anche di ricerca. Abbiamo cominciato a scrivere il film tre anni fa insieme allo sceneggiatore Marco Pettenello,  cercando di capire i meccanismi complessi tra Italia e Libia. Abbiamo studiato a lungo e compiuto un grosso lavoro di approfondimento, parlando per mesi con alcuni veri Corrado e intuendo che l’Italia si apprestava ad avviare respingimenti di migranti nei centri di detenzione libica. I problemi in Libia sono emersi pubblicamente soltanto ora. Il momento di apparizione pubblica di Minniti e il film hanno coinciso, ma non era difficile da prevedere. Chi studia sul campo facendo esperienza del proprio lavoro è in grado di immaginare cosa potrà accadere nell’immediato futuro. È grave che le persone non lo sapessero: è il tema di maggior contesa elettorale, è un tema centrale. Il governo attuava questa strategia già da 4 anni, poi è stata interrotta per poi riprendere 10 mesi fa.
È singolare che nessuno abbia sentito la necessità di informare il paese, andava detto chiaramente: «siete d’accordo che per ridurre il numero di immigrati li chiudiamo in centri di detenzione in Libia?».
E invece il tema ricorrente del problema migratorio è stato solo: «quanti ne volete di migranti: molti o pochi?».
Non si può lasciar decidere la società mediatica su un problema così importante.
Occorre centrare la definizione del problema e non limitarsi a metterci una toppa perché ogni volta spunterà una emergenza. Non si va alla fonte della questione.
Dire che l’Europa ci lascia da soli è una frase fatta, che non serve a nulla”.

Dove è stato girato il Film?
“ Tra Padova, Roma, Sicilia e Tunisia. Non avendo potuto girare in Libia, l’abbiamo dovuta ricostruire. Ripensandoci è il film più finto che abbia fatto!
Però è anche il film più vero, perché racconta davvero una realtà. Abbiamo fatto un lavoro di ricerca sui centri di detenzione, sulle guardie costiere libiche con la collaborazione di giornalisti e critici per aiutarci con la lingua, i modi di dire e le persone che hanno vissuto quei posti. E’ stato molto importante il contributo dei migranti di origine africana perché loro avevano vissuto davvero quella situazione. Mi hanno aiutato a correggere i miei errori”.

Con la consapevolezza di aver aggiunto un tassello in più alla definizione di una crisi dai contorni così ampi e complessi di cui la migrazione è solo uno degli aspetti drammatici, ci salutiamo cordialmente: l’intervista è terminata o forse deve ancora cominciare, o non finirà mai, ecco basta poco per scombussolare l’Ordine delle Cose.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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